Giugliano. Lo Stato dovrà pagare 400.000€ ai familiari di un giovane di Giugliano, allora 36enne, che nel 2009 morì di cirrosi epatica a causa di una trasfusione di sangue infetto. È quanto stabilito dal Tribunale di Napoli, che ha condannato lo scorso 20 febbraio il comportamento negligente del Dicastero della Salute, riconoscendolo colpevole e condannandolo al risarcimento della somma.
La storia. A.G – queste le sue iniziali- era affetto da emofilia fin dalla nascita. A seguito di somministrazioni di emoderivati, ricevute all’inizio degli anni ottanta, presso il San Giovanni Bosco, il giovane contrae un’infezione da epatite C con primo riscontro dell’ANTI-HCV, verso gli anni ‘90. La vittima, ancora in vita, fa domanda per ottenere un indennizzo. La richiesta di pagamento dell’assegno viene accolta ed accertata dalla Commissione Medica Ospedaliera, che riconosce nella somministrazione di emoderivati la causa dell’epatopatia da virus C. Intanto il quadro clinico di A.G. peggiora: la cronicizzazione della malattia provoca inevitabilmente lo sviluppo della cirrosi epatica. Un calvario lungo e sofferente, che culmina con la morte del giovane nel 2009.
La condanna. A seguito del decesso, la famiglia conferisce mandato all’avvocato Piervittorio Tione per agire legalmente e far accertare la responsabilità delle istituzioni; in particolare, di condannare il comportamento assunto dal Ministero della Salute che non operò alcun serio controllo sul sangue, proveniente anche dall’estero, ed utilizzato poi in tantissime strutture sanitarie italiane per fini terapeutici.
La madre ed i fratelli del giovane citano così in giudizio il Ministero della Salute per ottenere il risarcimento dei gravissimi danni morali. A distanza di dieci anni, con una recentissima sentenza di qualche giorno fa, il Tribunale di Napoli ha riconosciuto colpevole il Ministero condannandolo al pagamento, a favore dei familiari, di oltre 400 mila euro di danni per le sofferenze subite per la perdita del giovane.
“ Sono ancora tantissimi i casi in Italia di persone che, sottoposte a trasfusioni per svariati motivi nei primi anni ottanta, si sono poi ritrovate affette da patologie varie – spiega il legale. – ” Questi cittadini, che, affidata con serenità la cura della propria salute alle Istituzioni Statali, si sono poi ritrovati vittime innocenti di un pessimo sistema di vigilanza e controllo sul sangue trasfuso, possono agire nei confronti dello Stato per ottenere un ristoro dei danni morali sofferti”.
Poi prosegue: “E, quando purtroppo segue il decesso del malato, quel diritto di agire nei confronti del Ministero della Salute spetterà agli eredi (genitori, fratelli, figli, coniugi), feriti ingiustamente nel loro diritto, costituzionalmente rilevante, all’unione ed integrità familiare. E’ corretto precisare che i Dicasteri spesso, pur se condannati, impiegano anni per pagare quanto riconosciuto nelle aule di Giustizia. Ma il risarcimento è indiscutibile e, prima o poi, arriva”, conclude l’avvocato.