Palmiro Togliatti è uno dei più importanti politici italiani del Novecento. La sua biografia è ricca di storia e di episodi che hanno segnato il secolo scorso. Segretario e capo del partito comunista italiano, la sua morte e l’attentato ai suoi danni hanno fatto discutere gli storici e i politologi.
Le origini di Palmiro Togliatti: chi è
Palmiro Togliatti nacque nel 1852 a Genova in una famiglia di origini piemontesi. La famiglia avrebbe voluto destinarlo alla carriera ecclesiastica ma Antonio, dopo il seminario a Giaveno, non volle prendere i voti e si trasferì a Torino, si diplomò maestro e dopo un periodo d’insegnamento si impiegò dapprima come istitutore e poi come contabile nell’amministrazione dei Convitti nazionali del Regno, sposando una maestra elementare torinese, Teresa Viale, che divenne “la figura centrale della famiglia”.
Dopo gli studi classici, Togliatti s’iscrisse al Partito socialista nel 1914, anche se non frequentò la vita di partito per diversi anni, e allo scoppio della prima guerra mondiale si dichiarò favorevole all’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa. Dopo una brillante serie di studi conclusa con la media del 30, Togliatti si laureò nel novembre 1915 con la tesi Il regime doganale delle colonie, discussa con Luigi Einaudi. Seguendo la sua primitiva inclinazione, s’iscrisse anche alla facoltà di Lettere e Filosofia, ma la guerra prima e l’attività politica poi gli impedirono di conseguire la seconda laurea.
La politica è la fondazione del Partito Comunista
Nel clima di terrore della violenza fascista, durante il biennio rosso (1919-1920), Togliatti fondò il settimanale L’Ordine Nuovo insieme a Gramsci, Tasca e Terracini. La rivista era un pensatoio importante per discutere degli enormi problemi creati dalla guerra e dalle rivoluzioni che si sviluppavano in Europa e per fare i conti con la cultura italiana contemporanea. Il primo numero uscì il 1 maggio del 1919.
Due anni dopo sancì insieme a Gramsci la scissione del partito comunista dal partito socialista. Il 15 gennaio 1921 si aprì a Livorno il XVII Congresso socialista e il giorno 21 la minoranza comunista si costituì in partito, il Partito Comunista d’Italia: degli ordinovisti, erano presenti a Livorno Gramsci e Terracini, mentre Togliatti era rimasto a Torino a dirigere L’Ordine Nuovo, già divenuto quotidiano.
Il 28 ottobre 1922, in coincidenza con la marcia su Roma a opera dei fascisti capeggiati da Benito Mussolini, una squadra fascista penetrò nella tipografia dove si stampava «Il Comunista»: vi era anche Togliatti, che riuscì a fuggire. Il quotidiano cessò le pubblicazioni il 31 ottobre, con un ultimo appello all’attività illegale. A Torino, ci aveva pensato il 29 ottobre il questore Benedetto Norcia a chiudere provvisoriamente L’Ordine Nuovo, imitato dal collega di Trieste, che aveva sospeso le pubblicazioni dell’altro quotidiano comunista «Il Lavoratore». Togliatti però non prestò peso all’instaurazione del regime fascista nei primi tempi. “Non hanno profondamente modificato la situazione interna italiana […] il governo fascista, che è la dittatura della borghesia, non avrà interesse di liberarsi di alcuno dei tradizionali pregiudizi democratici”.
L’esilio di Palmiro Togliatti
Dopo la soppressione de “L’ordine Nuovo”, Togliatti torna nel capoluogo piemontese per organizzarvi un giornale clandestino. Ma la situazione precipita: arrestati dalla polizia fascista Bordiga e molti altri dirigenti del PCdI, anche Togliatti, che operava da Angera (Varese) e che era stato cooptato nella Direzione, è arrestato durante una riunione a Milano. Dopo l’omicidio Matteotti, e l’inizio dell’avventino parlamentare, viene arrestato di nuovo come “comunista pericoloso”. Trascorre quattro mesi di carcere prima dell’amnistia. Mentre Gramsci finisce a sua volta in manette, nel novembre del 1926, Palmiro è a Mosca. Il suo esilio durerà diciotto anni e vedrà il dirigente dei comunisti italiani attivo in Svizzera, in Francia, in Unione Sovietica, in Spagna.
Il ritorno in Italia di Palmiro Togliatti
Palmiro Togliatti rientrerà in patria alla fine del fascismo, nel 1944. Quando rimette piede in Italia, promuove quella che passerà alla storia italiana come “la svolta di Salerno”. I partiti antifascisti mettono da parte la questione istituzionale, che sarà risolta dopo la Liberazione, per dare maggiore vigore alla Resistenza. Liberata Roma dai nazifascisti, nasce il governo Bonomi (Togliatti ne fa parte come ministro senza portafoglio), e viene istituita la Luogotenenza del regno. Nel secondo governo Bonomi, Togliatti è vice presidente del Consiglio e sarà ministro di Grazia e Giustizia nel governo Parri e nel primo governo De Gasperi.
In tale ruolo, quando il voto popolare risolverà a favore della Repubblica la questione istituzionale, concede quella che va sotto il nome di “amnistia Togliatti”. Il provvedimento, che voleva essere di pacificazione nazionale, è usato da magistrati ancora legati al vecchio regime, per rimettere in libertà anche i peggiori aguzzini fascisti. Eletto all’Assemblea Costituente nel 1946 e confermato deputato nella II, III e IV legislatura, Togliatti contribuisce all’elaborazione della Costituzione.
L’attentato a Palmiro Togliatti
Il 18 aprile 1948, le prime elezioni politiche della storia della repubblica sancirono la vittoria della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati e la sconfitta del fronte delle sinistre dopo una campagna elettorale molto combattuta. Alle 11.30 del 14 luglio 1948 Togliatti subì un attentato: fu colpito da tre colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata mentre usciva da Montecitorio in compagnia di Nilde Iotti. L’autore dell’attentato era Antonio Pallante, un giovane esaltato, studente di giurisprudenza, fortemente anticomunista, spaventato dagli effetti che la politica filo-sovietica del “Migliore”. Il politico rimase ferito ma riuscì a riprendersi.
La morte di Palmiro Togliatti
Alle elezioni del 1963 il PCI ottenne il 25,3% dei voti in entrambe le Camere, fallendo tuttavia l’assalto alla maggioranza relativa. Togliatti, che considerava l’allievo Enrico Berlinguer come il suo “delfino”, nell’estate del 1964 si recò a Jalta, località della Crimea, in URSS, sul mar Nero per trascorrere una breve vacanza con la compagna Nilde Iotti subito dopo un viaggio a Mosca dove aveva discusso con Brežnev (allora numero due del Cremlino, ma che stava per deporre Chruščёv, che Togliatti cercava inutilmente, in quei giorni, di incontrare personalmente) circa l’opportunità di una conferenza internazionale comunista per ricucire i rapporti con la Cina di Mao Zedong, deteriorati da Chruščёv. Mentre si trovava nella cittadina sovietica, Togliatti venne colpito da un grave ictus e da una successiva emorragia cerebrale, non riprendendo più conoscenza: morì alcuni giorni dopo nello stesso luogo. Aveva 71 anni. Il 25 agosto 1964, a Roma, si tennero i funerali, con una presenza stimata di un milione di persone.
Le frasi più famose di Palmiro Togliatti
- Alla fine della guerra, la situazione era tale che non ci sarebbe stato difficile prendere il potere ed iniziare la costruzione di una società socialista. La gran parte del popolo ci avrebbe seguito.[1]
- Assai spesso, i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti, invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo. Lottando sotto la bandiera della solidarietà internazionale dei lavoratori, i comunisti di ogni singolo paese, nella loro qualità di avanguardia delle masse lavoratrici, stanno solidamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l’internazionalismo proletario poiché l’uno e l’altro si fondano sul rispetto dei diritti, delle libertà, dell’indipendenza dei singoli popoli. È ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni, non solo per il suo numero, ma per la sua funzione economica e politica. L’avvenire della nazione riposa innanzi tutto sulle spalle delle classi operaie. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare le loro radici vitali. Il cosmopolitismo è un’ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri.
- [Nel 1953, riferendosi a Nikolaj Ivanovič Bucharin e ai nemici di Stalin] Aveva i caratteri di un professorino presuntuoso, vanitoso intrigante. Era in lui, come negli altri, la stoffa del doppiogiochista e del traditore.
- Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano! Senza dubbio! Il nostro obiettivo è la creazione nel nostro Paese di una società di liberi e di eguali, nella quale non ci sia sfruttamento da parte di uomini su altri uomini.