Venerdì 17 di un anno bisestile: perché porta sfortuna? Oggi, venerdì 17 di un anno bisestile in piena pandemia, per i superstiziosi non è un gran giorno. Gli scongiuri da fare sono diversi. Ma il detto che più si sente ripetere in questo periodo, dovuto sopratutto all’emergenza sanitaria da Coronavirus, è “Anno bisesto, anno funesto”.
Ogni quattro anni abbiamo un giorno in più che serve ad evitare lo slittamente delle stagioni ed il 2020 è proprio uno di questi anni bisestili. Proprio a causa del suo legame con l’ignoto e lo spazio nel corso dei secoli, il 29 febbraio, è sempre stato oggetto di credenze e superstizioni, ma vediamone insieme i misteriosi motivi.
Venerdì 17, anno bisestile: perché porta sfortuna?
Le ragioni del perchè si dice “Anno bisesto anno funesto” sono da ricercarsi in tempi molto lontani. Questa credenza si attribuisce già agli antichi romani. Furono i primi a pensare che l’anno bisestile fosse un anno funesto. In altri territori che non risentirono dell’influenza romana, come i paesi anglosassoni, si pensa, invece, che l’anno bisestile sia un anno fortunato e propizio. In particolare il 29 febbraio è considerato un ottimo giorno per cimentarsi in nuove imprese che avranno sicuramente successo.
Probabilmente, la fama negativa attribuita dai romani agli anni bisestili, deriva dal fatto che febbraio era il mese preposto ai riti dedicati ai defunti. Il 21 febbraio si celebravano, infatti, i Feralia con cerimonie pubbliche, offerte e sacrifici.
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Febbraio era dunque considerato un mese tetro e funesto. Un’altra ipotesi è che per gli antichi, tutto ciò che era anomalo e non razionale, fosse da considerarsi di cattivo auspicio quindi anche un anno con un giorno in più.
Altra credenza viene attribuita a Michele Savonarola. Il medico e scienziato del XVesimo secolo, sosteneva che gli anni bisestili fossero portatori di epidemie e tragedie, nonché carestie e guerre. Difficile, oggi, imputare ad un giorno dell’anno tutte le disavventure del Medioevo eppure per la popolazione dell’epoca fu molto facile credere alla sentenza del medico.