“Una orribile mattina”: definisce così il gip quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dove oggi sono state eseguite 52 misure cautelari nei confronti di poliziotti e impiegati del Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria della Campania. “Li abbattiamo come vitelli“: è questa una delle frasi trovate nelle chat degli agenti della penitenziaria finiti al centro dell’inchiesta.
Gli arrestati devono rispondere di: torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio.
Arresti carcere di Santa Maria Capua Vetere
Le torture avvengono dopo una rivolta scoppiata il 6 aprile 2020 contro le restrizioni Covid. In quell’occasione circa 150 detenuti “presero possesso” di sei sezioni della struttura e costrinsero ad allontanarsi gli agenti. Secondo l’ipotesi della Procura dopo quella rivolta ci furono perquisizioni punitive e ritorsioni da parte degli agenti. A denunciarlo, pochi giorni dopo, furono i garanti dei detenuti campani.
Precedentemente, nello stesso carcere, c’era stata un’altra protesta. Il 9 marzo fu organizzata da un gruppo di 160 detenuti del reparto Tevere. Ma, è dopo quella del 6 aprile che gli agenti decidono di mettere in atto violente rappresaglie, a cui avevano partecipato 283 unità, sia interne all’organico del carcere sia provenienti dal Gruppo di Supporto agli Interventi. Erano state perquisite 292 persone.
A seguito delle denunce scattano le indagini. Vengono così acquisiti video delle telecamere di videosorveglianza, che, come sottolinea in un comunicato il procuratore di Santa Maria Capua Vetere, Maria Antonietta Troncone, dimostrano “l’arbitrarietà delle perquisizioni, disposte oralmente”, e fanno emergere “il reale scopo dimostrativo, preventivo e satisfattivo, finalizzato a recuperare il controllo del carcere e appagare presunte aspettative del personale della Polizia Penitenziaria, essendosi conseguentemente utilizzato un atto di perquisizione”.
E solo prima della rappresaglia degli agenti, nelle loro chat ci sono frasi choc raccolte dalle intercettazioni tra gli agenti: “Li abbattiamo come vitelli”; “domate il bestiame” prima dell’inizio della perquisizione e, dopo, quando la perquisizione era stata completata, “quattro ore di inferno per loro”, “non si è salvato nessuno”, “il sistema Poggioreale”, “Abbiamo ristabilito un po’ l’ordine”, “ho visto cose che in sei anni non immaginavo nemmeno”, “c’è stato un carcerato che ha dato addosso a un collega e lo hanno portato giù alle celle e come di rito ha avuto pure la parte sua”, “Dalle 16 alle 18 abbiamo fatto tabula rasa” e “Oggi si sono divertiti al Nilo”.
Le immagini delle telecamere, prosegue il procuratore, “rendevano una realtà caratterizzata dalla consumazione massificata di condotte violente, degradanti e inumane, contrarie alla dignità ed al pudore delle persone recluse”. Nelle indagini è emerso che alcuni detenuti sono stati lasciati senza biancheria e non sarebbero stati visitati nonostante avessero contusioni.
Per il Procuratore, grazie ai video “era possibile accertare, in modo inconfutabile, la dinamica violenta, degradante e inumana che aveva caratterizzato l’azione del personale impiegato nelle attività, persone difficilmente riconoscibili perché munite di DPI ed anche, quanto a numerosissimi agenti, di caschi antisommossa, unitamente a manganelli in dotazione, illegalmente portati con sé, ed anche di un bastone”.
I detenuti del reparto Nilo, ricostruiscono i magistrati, erano stati costretti a camminare attraverso un “corridoio umano” formato dai poliziotti e percossi al passaggio con “un numero impressionante di calci, pugni, schiaffi alla nuca e violenti colpi di manganello, che le vittime non riuscivano in alcun modo ad evitare”.
In alcuni casi è accaduto persino che nelle sale della socialità i detenuti sarebbero stati costretti a stare in ginocchio per lungo tempo e picchiati anche quando, ormai esanimi, crollavano a terra. Uno di loro viene ripreso mentre cerca di riparare la testa dai colpi e un agente lo colpisce col manganello sulle nocche delle dita.