Torre Annunziata, tariffe fisse ai commercianti e minacce: così agivano i giovani boss

E’ tutt’altro che morto, il clan Gionta, da sempre egemone nell’area vesuviana. Dopo anni di batoste giudiziarie, condanne e arresti, la cellula criminale della cosca si era ricomposta. Le figure intermedie erano cresciute, tanto da imporsi ai vertici della nuova camorra a sud del capoluogo.

Ma per ricostruire la forza di un clan, servono due cose: le risorse economiche e la pace. E così in città, a Torre Annunziata, era tornato il racket. Ma, cosa più importante, la pax criminale con il clan Gallo-Cavalieri e la vecchia divisione del territorio. La stessa che regnava prima della faida nata a ferragosto 2006.

A partire dall’estate 2016 i carabinieri hanno potuto documentare venti episodi estorsivi a 14 diverse attività commerciali con tariffe che arrivavano anche a quattromila euro. Gli occhi del clan cadevano sulla zona del porto: in particolare una ditta di ormeggio barche era finita nel mirino degli estorsori: “O un forfait di 3500 euro o 50 euro a barca”, il diktat imposto dalla camorra.

I vertici erano Vincenzo Amoruso ed un 69′, Luigi Della Grotta, alias “Gigino Panzerotto”, nomi noti alle cronache giudiziarie subentrati, secondo gli investigatori, dopo l’arresto di Ciro Nappo, “capa d’auciello”. Ma oltre al porto, nella rete del racket dei nuovi Gionta erano finiti anche negozi di abbigliamento, pasticcerie, e persino una clinica medica, che però si era rifiutata di pagare.

Scorrendo i nomi, oltre ai due reggenti, appaiono quelli di Salvatore Ferraro “o’ capitano”, Raffaele Abbellito e Luigi Caglione,“Gino Canale 5”. Tutti liberi fino a stanotte e pronti a riprendere le redini del clan. La vecchia guardia che prova a mettere a posto le finanze del clan alla vecchia maniera, con le estorsioni e il controllo del territorio spartito con i rivali di sempre. Gli altri arrestati sono: Catello Nappo, Oreste Palmieri, Raffaele Passeggia, Valerio Varone, Leonardo Amoruso e Pietro Izzo, detto “Il boss dei 13 quartieri”.

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