Il nove maggio 1978, per chi frequenta la politica da lettore, spettatore, simpatizzante, militante o addirittura protagonista, è una data cruciale.
Era un martedì, a Giugliano cinque giorni dopo si sarebbero aperte le urne per le elezioni amministrative che avrebbero portato in Consiglio comunale esponenti politici che sarebbero stati protagonisti, consapevoli o meno, della vita cittadina per oltre un ventennio. Mio papà era tra i quindici eletti di una DC al 37%. Lavorava in fabbrica, tesserato CISL, con mia madre segretaria d’azienda faceva su e giù da Pomigliano come tanti dipendenti del settore metalmeccanico di allora. Quel martedì, forse, i candidati erano presi dal correre affannosamente alla ricerca dell’ultimo voto da chiedere, di una mano da stringere, o del parente da visitare, come si è soliti fare in quelle occasioni.
Nel mese del Rosario e della Supplica alla Madonna di Pompei, probabilmente mia nonna era felice per la fioritura delle ortensie e guardava quanti fiori ci fossero sulle piante di limone che ancora profumano il giardino. Il nonno lo immagino su una di quelle sedie in legno chiaro della Congrega che certamente affollavano la sede stradale della vecchia Piazza Annunziata. Le votazioni, come si dice al Sud, cadevano a ridosso della Pentecoste, e la Madonna era stata intronizzata il sabato del silenzio elettorale. Mia sorella si accingeva a compiere quattro anni e già sorrideva divertita ai giochi che si fanno con i bambini.
Vittorio lo immagino che corre nel corridoio della nostra vecchia casa.
Io sarei nato sette mesi dopo.
Aldo Moro era stato rapito da cinquantacinque giorni, ed i tentativi disperati di coloro che avevano seduto ai tavoli, cercato aperture, o invocato trattative, erano miseramente falliti. Il paradosso, agli occhi dei giovani DC di allora, che correvano per uno scranno in Consiglio Comunale credo fosse evidente: il più grande equilibrista che il Partito avesse tra le proprie fila, l’uomo dell’apertura a sinistra, l’intellettuale che prima ancora di fare politica, attraverso le proprie affermazioni e la stancante lentezza da Professore, trasmetteva cultura, non suscitava, nella classe dirigente di allora, lo stesso sentimento di apertura e dialogo.
In occasione del 40 anniversario della sua morte, assieme a mio padre ed a mio fratello maggiore abbiamo voluto ricordare Aldo Moro attraverso un manifesto che racconta tanto di un Uomo di cui si parla poco nelle scuole, meno nelle istituzioni, e nulla in quel che resta dei partiti.
Il 28 Febbraio ’78 , a due settimane circa dal rapimento, dirà nella riunione del gruppo DC alla Camera dei Deputati rispetto alla situazione creatasi a seguito delle elezioni del 1976 e dei Due vincitori (DC e PCI) che ancora rallentava il Paese : una situazione difficile, inconsueta, di fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per risolvere le crisi non servono più… Io credo all’emergenza, io temo l’emergenza. La temo perché so che c’è sul terreno economico sociale. Credo che tutti dovremmo essere preoccupati di certe possibili forme di impazienza e di rabbia, che potrebbero scatenarsi nel contesto sociale. C’è la crisi dell’ordine democratico, crisi latente, con alcune punte acute. Il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, il rifiuto del vincolo, la deformazione della libertà che non sa accettare né vincoli né solidarietà. Immaginate cosa accadrebbe in Italia, in questo momento storico, se fosse condotta fino in fondo la logica della opposizione, da chiunque essa fosse condotta, da noi o da altri, se questo Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione condotta fino in fondo…
Parole spaventosamente adatte al contesto politico, sociale e culturale odierno. Peccato gli eletti di quel Consiglio Comunale 1978 non abbiano potuto continuare a fare tesoro delle Lezioni di Moro. Peccato oggi, quel sorriso buono, quel tono da Professore, la sua ricerca esasperata del vocabolo giusto per l’occasione, sia la Voce che manca al dibattito politico. Non credo di fargli torto utilizzando una celebre espressione inserita nell’ultima lettera alla moglie: ci fosse luce, sarebbe bellissimo.
Grazie per l’ospitalità.
Marco Sepe