E’ uno dei tanti detti napoletani più utilizzati. “Mannaggia a Bubbà”. Un modo di dire colorito che napoletani e non utilizzano spesso. Tra imprecazioni e offese, quando si vuole “sfogare” un malessere si utilizza questo detto. La bestemmia però non è mai contemplata come imprecazione nella nostra lingua, anzi, a differenza delle altre regioni i napoletani rifiutano di natura questo tipo di sfoghi.
Era necessario, quindi, che nel nostro parlato ci fosse un “capro espiatorio” che sostituisse le divinità da maledire e questo capro fu trovato in un certo Bubbà: una figura storica che si dice bazzicasse nei vicoli di Napoli di secoli fa. La tradizione popolare ritiene che Bubbà fosse un personaggio senza scrupoli che si muoveva nel sottobosco affaristico della Napoli dell’ 800. Era, insomma, un traffichino, un piccolo faccendiere che si trovava implicato in ogni affaruccio possibile e immaginabile per cui, in caso di malaparata , la cosa più semplice era prendersela col signore in questione (visto che sicuramente si poteva considerare coinvolto nella faccenda).
Come riporta vesuviolive, il saggista Luciano Galassi scrive nel suo libro “Mannaggia a Bubbà”, l’imprecazione “mannaggia” deriverebbe dal napoletano “male n’aggia” (che riceva del male). Quindi chi altri avrebbe potuto ricevere del male se non questo fantomatico Bubbà, così malevolo e fastidioso? Così, il truffatore imprecato in qualche quartiere di Napoli secoli fa è diventato tanto conosciuto da essere ancora oggi tirato in ballo quando qualcosa va male, responsabile eterno dei problemi dei napoletani, il “capro espriatorio” perenne della nostra tradizione linguistica.