Città del Vaticano. Un incubo durato per cinque lunghi anni. Allora era una bambina, ma il ricordo di quegli anni rimane indelebile. A 11 anni è stata ripetutamente violentata da un prete italiano. La vittima, che oggi è una donna, ha voluto raccontare il suo dolore nella sala del summit del Vaticano.
“Volevo raccontarvi di quand’ero bambina. Ma è inutile farlo perché a 11 anni un sacerdote della mia parrocchia ha distrutto la mia vita. Da allora io, che adoravo i colori e facevo capriole sui prati spensierata, non sono più esistita. Restano invece incise nei miei occhi, nelle orecchie, nel naso, nel corpo, nell’anima tutte le volte in cui, lui, bloccava me bambina con una forza sovrumana: io mi anestetizzavo, restavo in apnea, uscivo dal mio corpo, cercavo disperatamente con gli occhi una finestra per guardare fuori, in attesa che tutto finisse. Pensavo: se non mi muovo, forse non sentirò nulla; se non respiro, forse potrei morire. Quando terminava, riprendevo quello che era il mio corpo, ferito e umiliato e me ne andavo credendo persino di essermi immaginata tutto. Ma come potevo io, bambina, capire ciò che era accaduto? Pensavo: sarà stata sicuramente colpa mia!”.
L’identità di questa signora resta anonima. Una sola domanda la tormenta: “Dov’era, Dio? Quanto ho pianto su questa domanda! Non avevo più fiducia nell’Uomo e in Dio, nel Padre-buono che protegge i piccoli e i deboli. Io bambina ero certa che nulla di male potesse venire da un uomo che profumava di Dio! Come potevano le stesse mani, che tanto avevano osato su di me, benedire e offrire l’Eucarestia? Lui adulto e io bambina, aveva approfittato del suo potere oltre che del suo ruolo: un vero abuso di fede!”.
Da quelle violenze è poi arrivata la malattia. “Mentre io non parlavo, il mio corpo ha iniziato a farlo: disturbi alimentari, ospedalizzazioni varie: tutto urlava il mio star male mentre io, completamene sola, tacevo il mio dolore. Tutto veniva attribuito all’ansia per la scuola che improvvisamente, andava malissimo”.
Poi prosegue: “Da allora, fino ad oggi – ha raccontato – continuo un durissimo percorso di rielaborazione che non ha scorciatoie, che richiede un’enorme costanza per ricostruire in me identità, dignità e fede. Un percorso che si fa per lo più in solitudine e con l’aiuto di qualche specialista, se possibile. L’abuso crea un danno immediato, ma non solo: più difficile è fare i conti ogni giorno, con quel vissuto che ti invade e si presenta nei momenti più improbabili. Ci dovrai convivere…sempre! Puoi solo imparare, se ci riesci, a farti ferire di meno”.
“Noi vittime, se riusciamo ad avere la forza di parlare o denunciare, dobbiamo trovare il coraggio di farlo pur sapendo che rischiamo di non essere credute o di dover vedere che l’abusatore se la cava con una piccola pena canonica. Ciò non può e non deve essere più così! Ho avuto bisogno di 40 anni per trovare la forza della denuncia. Volevo rompere il silenzio di cui si nutre ogni forma di abuso; volevo ripartire da un atto di verità, scoprendo poi che questo atto offrivo un’opportunità anche a chi aveva abusato di me”.
La vittima aggiunge: “La Chiesa può andare fiera della possibilità di procedere in deroga ai tempi di prescrizione (diritto negato dalla giustizia italiana), ma non del fatto di riconoscere come attenuante, per chi abusa, l’entità del tempo trascorso tra i fatti e la denuncia (come nel mio caso). La vittima non è colpevole del suo silenzio! Il trauma e i danni subiti sono tanto maggiori quanto più è lungo il tempo del silenzio, che la vittima trascorre tra paura, vergogna, rimozione e senso di impotenza. Le ferite non vanno mai in prescrizione, anzi! Oggi io sono qui, e con me ci sono tutti i bambini e le bambine abusati, le donne e gli uomini che provano a rinascere dalle loro ferite, ma c’è, soprattutto, anche chi ci ha provato e non ce l’ha fatta, e da qui, e con loro nel cuore, dobbiamo ripartire insieme”.