Ci sono diversi contagi collaterali prodotti dal coronavirus. Uno lo abbiamo già sperimentato: ed è la paura. In questi giorni abbiamo assistito a scene di psicosi collettiva, assalto ai supermercati e alle farmacie, paesi in quarantena, fake news, caccia a untori e pazienti zero. Tutte scene che credevamo confinate alla fantasia di romanzieri distopici e di registi sci-fi.
Il secondo, invece, lo stiamo sperimentando ora che stiamo cercando faticosamente di ricostruire gli argini della ragione contro la deriva delle emozioni, nei giorni immediatamente successivi alla prima fase dell’emergenza. Ed è il cinismo, quello che ha animato gli spiriti primitivi di Vittorio Feltri quando ha twittato: “Finché crepano i Matusalemme, non è il caso di allarmarsi”. Oppure lo stesso che alimenta il chiacchiericcio da bar e da social e che recentemente ci ha spinto a puntare il dito contro il partito degli allarmisti. Per capirci, è il finto buon senso di chi mette egoisticamente la propria libertà di movimento, i contatti sociali e la sicurezza del lavoro alla vita degli altri.
I numeri da osservare sul Coronavirus
Anzitutto partiamo dai dati, che purtroppo e per fortuna rappresentano l’unico vero ancoraggio alla realtà che ci rimane nel baillame mediatico scatenato dal virus. In Italia, ad oggi (primo marzo), su poco più di mille contagiati ufficiali da coronavirus, si registrano 29 morti. Quasi il 3%. Un dato ovviamente provvisorio calcolato su un campione ridottissimo, che non tiene conto ancora del numero preciso degli infettati e delle cause precise dei singoli decessi, ma comunque in linea con quelli che arrivano dagli altri Paesi dove si è diffuso il contagio (2-3 %). L’influenza stagionale, invece, ha un tasso di letalità inferiore, pari all’uno per mille (dati ISS). Significa che se il Covid-19, sul piano puramente ipotetico, dovesse infettare cinque milioni di persone come farebbe una normale influenza in un anno, potremmo contare nel nostro Paese nel 2021 tra i 100mila e i 150mila decessi. Una strage di anziani, immunodepressi e adulti in condizioni di salute precarie che nessuno si augurerebbe. E’ uno scenario apocalittico e al momento non plausibile, ma che ci dà la misura di cosa potrebbe succedere se saltassero cordoni sanitari e controlli.
Il picco epidemico è lontano e l’Europa è assente
Altra cosa preoccupante: siamo ancora lontani dal picco epidemico del coronavirus, che potrebbe arrivare tra mesi, anche il prossimo autunno, se l’epidemia raggiungesse le dimensioni di una pandemia. Le misure di contenimento del contagio sono fondamentali in questa fase: serviranno a spalmare il numero dei contagiati nei mesi a venire e a evitare di sovraccaricare il sistema sanitario, già oggi a rischio collasso. Ma passerà del tempo prima che l’emergenza rientri e il mondo impari a convivere con un ospite subdolo, capace di circolare liberamente attraverso l’organismo di migliaia e migliaia di soggetti asintomatici, e per questo in grado di fare sul lungo termine più danni di una Sars.
In tutto questo pesa tantissimo il silenzio e l’inerzia dell’Europa: avremmo bisogno di un coordinamento sovranazionale tra le varie autorità sanitarie e i Governi che fanno parte dell’Unione, altrimenti ogni sforzo di contenimento teso ad arginare il contagio risulterà inefficace. Isolare un focolaio nel Lodigiano non ha senso se ne scoppia un altro a 500 chilometri, in Francia o in Austria, con le frontiere aperte e i residenti di ciascun Paese liberi di spostarsi in auto come in treno. Servono protocolli e procedure di isolamento condivise che richiamino il Vecchio Continente a una responsabilità comune a tutela dei suoi cittadini.
Se ci ammaliamo di cinismo
E’ ancora prestissimo per tracciare i bilanci di questa emergenza. Nei prossimi mesi il mondo del Capitale globalizzato, probabilmente, sarà messo davanti a un duro compito: trovare un equilibrio tra costi umani e costi economici. Sul piatto stiamo mettendo la sopravvivenza della nostra civiltà. Salvare centinaia di migliaia di vite -e parliamo delle fasce più deboli della popolazione, degli ultimi, dei poveri senza assistenza sanitaria, degli anziani – potrebbe comportare il sacrificio di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Il comparto turistico di mezza Europa sarà messo in ginocchio. E, in generale, a risentirne sarà la libera circolazione di capitali e persone.
Viceversa, però, se decidiamo di sacrificare quelle vite per garantire la riproduzione del sistema capitalistico, allora avremmo deciso di ridisegnare la nostra scala di valori. Spostarsi di paese in paese, andare a lavorare, mangiarsi una pizza in compagnia, teneri aperti ristoranti, musei e discoteche, prenotarsi le vacanze, sarebbe più importante per la società che preservare l’esistenza di un nonno diabetico o di uno zio in chemioterapia. Il Coronavirus ci rende tutti complici e responsabili: ogni mancata autodenuncia, ogni spostamento che facciamo, ogni quarantena violata, potrebbe significare la morte del nostro vicino.
Una scelta che potrebbe trovare il favore delle istituzioni nazionali e internazionali sotto la pressione delle lobbies e delle grandi multinazionali. In questo ci sarebbe l’addomesticamento e la complicità dei media, indotti a drogare i dati e omettere i fatti. L’Occidente come lo abbiamo conosciuto ne uscirebbe disumanizzato. Il valore che diamo alla vita dopo secoli di umanesimo e cristianesimo riscritto dalle esigenze del profitto e dagli egoismi individuali. La Cina non l’ha fatto: ha preferito salvare vite e bruciare punti di Pil. È bello sapere che un briciolo della lezione del comunismo sopravviva ancora, pure tra i vertici della seconda potenza economica del Pianeta.