Melito, 43enne contrae epatite C per trasfusione di sangue infetto: Cassazione condanna lo Stato

Oltre 100mila euro di risarcimento. E’ la somma che lo Stato dovrà pagare a D.A., 43enne di Melito, che era stato sottoposto alla nascita a trasfusioni di sangue infetto all’ospedale Santobono-Pausilipon di Napoli.

Melito, 43enne contrae epatite C per trasfusione di sangue infetto: Cassazione condanna lo Stato

A stabilirlo è la Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso del 43enne (difeso dall’avvocato Piervittorio Tione) dopo che la Corte di Appello aveva dichiarato prescritto il diritto al risarcimento.

La storia risale a oltre 40 anni fa. Dopo esser venuto alla luce, D.A. sviluppa una grave forma di anemia. Per i medici del nosocomio partenopeo non c’è altra soluzione: il bambino va subito sottoposto a emotrasfusione. E così si procede alla trasfusione di sangue che, a distanza di anni, si scoprirà essere infetto.

La diagnosi medica arriva soltanto nel 1997: il paziente ha contratto l’epatite C, una malattia che negli anni successivi lo porterà a sottoporsi a numerosi trattamenti sanitari. Dieci anni dopo, D.A. decide quindi di agire legalmente nei confronti del Ministero della Salute, citandolo in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli. Inizia così una lunga battaglia, che si concluderà soltanto nel 2021.

Il giudice condanna in primo grado il dicastero della Salute alla restituzione di oltre 100mila euro alla vittima. Il Ministero della Salute presenta poi ricorso alla Corte d’Appello che gli dà ragione e dichiara prescritto il diritto al risarcimento, sostenendo che già all’età di 19 anni avrebbe dovuto ricollegare la sua malattia alla trasfusione somministratagli dopo la nascita, anche alla luce dello scandalo del sangue infetto scoppiato negli anni ’80 in Italia.

Quattro giorni fa la Cassazione ha ribaltato il verdetto: lo Stato dovrà risarcire il 43enne di Melito. Per la Corte dovevano essere i sanitari a fornire indicazioni al paziente circa la probabile origine della malattia. Per la Cassazione, insomma, non si poteva pretendere che D.A. ricollegasse, senza alcuna competenza scientifica, la sua patologia con la trasfusione di sangue infetto.

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