Sta per arrivare la stretta sui percettori del reddito di cittadinanza. Almeno 660mila i beneficiari a rischio che potrebbero perdere il sussidio nei prossimi mesi. Il Governo di Giorgia Meloni è a lavoro per la misura che taglierà fuori dalla platea dei destinatari decine di migliaia di persone.
Reddito di cittadinanza, in arrivo la stretta
La premier non ha mai tenuta nascosta la sua volontà di rivedere i criteri di assegnazione della misura. Persino il nome del beneficio potrebbe cambiare. Nelle sue recenti dichiarazioni, la leader di Fratelli di Italia ha precisato di voler «mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare», ma «per gli altri», ha aggiunto, «la soluzione non può essere il Reddito di cittadinanza, ma il lavoro». Se gli “occupabili” saranno fatti fuori dal circuito dei beneficiari, secondo una nota dell’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche attive del lavoro), i beneficiari del reddito di cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro sono 919.916. Sono tutti a rischio?
L’annuncio di Salvini: “Sospendiamolo per sei mesi”
Per il vicepremier Matteo Salvini, sì. Proprio il leader del Carroccio si accredita ad essere il primo nemico del reddito di cittadinanza all’interno del Governo di Giorgia Meloni. Il segretario della Lega infatti chiede a gran voce di sospendere per sei mesi la misura “a quei 900mila percettori del reddito che sono in condizioni di lavorare e che già lo percepiscono da diciotto mesi” e utilizzare le somme risparmiate, circa un miliardo di euro, per prorogare Quota 102 nel 2023. Tradotto: spostare le risorse del reddito di cittadinanza al mondo delle pensioni per fermare gli effetti della legge Fornero, che a breve tornerà in vigore dispiegando i suoi effetti.
La nota dell’Anpal: 660mila occupabili a rischio
Sui numeri però non c’è certezza. A smontare i dati di Salvini ci pensa l’Anpal. Dal totale, infatti, vanno tolti i 173mila (18,8%) che risultano già occupati e gli 86mila (9,4%) esonerati, esclusi o rinviati ai servizi sociali. Rimangono quindi 660mila (il 71,8%). «Dei 660mila beneficiari soggetti al patto per il lavoro (dunque non occupati, non esonerati e non rinviati ai servizi sociali), quasi i tre quarti – il 72,8%, corrispondente a 480mila persone – non ha avuto un contratto di lavoro subordinato o para-subordinato negli ultimi 3 anni», sottolinea l’Anpal. «Si tratta di individui che complessivamente esprimono alcune fragilità rispetto al bagaglio con cui si affacciano ai percorsi di accompagnamento al lavoro e che nel 70,8% dei casi hanno conseguito al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore – prosegue la nota – . Solo il 2,8% presenta titoli di livello terziario, mentre un quarto ha un diploma di scuola secondaria superiore».
Traducendo la nota dell’Anpal, significa che i 660mila beneficiari a rischio, per quanto potenzialmente “occupabili”, non hanno spesso le qualifiche professionali per inserirsi nel mondo del lavoro. Per loro, spesso, il sussidio rappresenta una delle poche entrate economiche, senza la quale diventa difficile sbarcare il lunario in attesa di una collocazione lavorativa. A sottolinearlo al Sole 24 Ore è anche l’Associazione nazionale dei navigator, cioè le figure di reclutamento che secondo la legge adottata dall’allora Governo Conte avrebbero dovuto avviare i percettori al lavoro. “Formalmente possono anche essere occupabili – spiegano – il punto è che sono poco appetibili per le aziende, interessate a profili già formati e già pronti a lavorare”.