Pizzo al cugino, asse Imperiale-Scissionisti per evitare guerra coi Cesarano

L’ex narcotrafficante Raffaele Imperiale, ora collaboratore di giustizia, chiese l’intervento degli Scissionisti (clan Amato-Pagano) per difendere il cugino omonimo a cui il clan Cesarano voleva imporre il pizzo da 50mila euro.

Pizzo al cugino, asse Imperiale-Scissionisti per evitare guerra coi Cesarano

È quanto emerge dall’inchiesta condotta dai Carabinieri di Castellammare di Stabia e dalla Dda, al temine della quale sono state notificate ben 18 misure cautelari nei confronti di altrettanti presunti affiliati alla cosca criminale.

All’imprenditore e parente del narcos fu intimato di presentarsi il giorno dopo a Ponte Persica, frazione del Comune di Castellammare di Stabia, con la somma richiesta dagli estorsori. L’uomo ne parlò con lo zio (padre del narcotrafficante Raffaele Imperiale) il quale, a sua volta, riferì la vicenda al figlio.

A quel punto Imperiale inviò alcuni emissari degli Amato-Pagato, tra cui il ras Marco Liguori, all’appuntamento. Ad incontrare Vincenzo Cesarano, ritenuto il vertice dell’omonimo clan, finito oggi in manette, fu però una persona che si presentò per conto di Bruno Carbone, socio del narcos Imperiale.

Il boss – secondo quanto emerso – finse di prendere le distanze da chi stava gestendo l’estorsione (il 63enne Francesco Corbelli, anche lui destinatario oggi di una misura cautelare) dicendo che non era sua intenzione taglieggiare un componente della famiglia Imperiale.

Da quel momento però il clan iniziò a ricevere somme di denaro, in occasione delle festività, a titolo di ringraziamento per “il rispetto” mostrato dai Cesarano nei riguardi di un familiare del noto narcotrafficante.

L’organigramma del clan

Al vertice dell’organizzazione criminale si collocherebbero le figure di Vincenzo Cesarano, detto “O Mussone”, Luigi BelvisoGiovanni Cafiero, i quali, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero guidato e indirizzato gli affiliati.

In particolare, Vincenzo Cesarano, cugino degli storici vertici Ferdinando e Gaetano Cesarano, entrambi detenuti al 41 bis, avrebbe gestito la cassa del clan, impartendo le direttive strategiche, mentre Giovanni Cafiero, genero di Gaetano Cesarano, oltre a partecipare alle riunioni nelle quali venivano decise le strategie del sodalizio e la questione del sostentamento degli affiliati detenuti, si sarebbe occupato del recupero dei crediti maturati da vari imprenditori.

Luigi Belviso, invece, oltre a promuovere iniziative atte a mantenere buoni rapporti con esponenti di altri clan dell’area napoletana, nel 2021 avrebbe tentato invano di separarsi da Vincenzo Cesarano e di assumere la guida del clan, in forza dell’avallo dei boss fondatori.

Le estorsioni

Nel corso delle indagini sono stati poi acquisiti elementi decisivi per la ricostruzione di numerose estorsioni nell’area stabiese, perpetrate ai danni di attività imprenditoriali, ricettive, commerciali e negozi di vario genere.

Le risultanze delle attività investigative hanno anche permesso di documentare il tentativo degli indagati di ripulire i proventi delle attività illecite mediante il loro reinvestimento in beni mobili e in settori imprenditoriali come quello del noleggio auto, quello nautico e quello edile- immobiliare.

Le altre accuse

Dall’inchiesta sono poi emersi altri episodi legati ai vertici e ai sodali del clan. Ad esempio, Luigi Belviso si sarebbe reso responsabile di una rapina a mano armata avvenuta a Pompei. Un altro indagato, invece, sarebbe accusato di essere il mandante di un tentato omicidio, per il quale era stato ipotizzato un movente passionale. Gli esecutori materiali furono già arrestati e condannati in primo grado. Il mandante in questione sarebbe Guglielmo De Iulio che avrebbe ordinato l’assassinio di un imprenditore stabiese a seguito di una diatriba sorta in occasione della compravendita di un terreno ubicato nella periferia nord di Castellammare di Stabia.

Nel corso delle investigazioni sono state poi documentate alcune cessioni di sostanze stupefacenti e sono emersi gravi indizi di colpevolezza a carico di quattro indagati, che avrebbero utilizzato e comunicato con cellulari e sim indebitamente introdotti all’interno del carcere di Secondigliano.

Al termine delle formalità di rito, quattordici indagati sono stati accompagnati presso la casa circondariale. Uno è stato sottoposto al regime degli arresti domiciliari e quattro persone, due delle quali già destinatarie di misura cautelare in carcere, sono state sottoposte alla misura del divieto di dimora nella provincia di Napoli.

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