La boccetta di veleno rinvenuta nel suo zainetto serviva per debellare i topi nel bar dell’Armani Hoyel in cui lavorava. Così Alessandro Impagnatiello ha provato a giustificarsi quando gli inquirenti gli hanno domandato che uso ne avesse fatto. A riportare i dettagli è la trasmissione Quarto Grado.
Giulia Tramontano avvelenata, Impagnatiello: “Veleno serviva per cacciare topi”
Le successive indagini, tuttavia, hanno fatto emergere il suo reale utilizzo: Impagnatiello, in carcere con l’accusa di aver ucciso con 37 coltellate la compagna incinta al settimo mese Giulia Tramontano, per mesi aveva cercato di ammazzare Giulia e il feto somministrandole il veleno. La conferma è infatti arrivata dagli esami tossicologici eseguiti dai medici legali sul corpo della 29enne di Sant’Antimo. Ma anche dai messaggi che la giovane scambiava con sua madre, in cui le diceva che a volte l’acqua che beveva sapesse di ammoniaca.
Non è però chiaro quanta sia stata la dose di veleno – che Impagnatiello comprava online sotto falso nome – somministrata a Giulia: secondo i medici il veleno sarebbe stato somministrato o in poche dosi con una quantità notevole di veleno o più dosi in più piccole quantità. Secondo gli inquirenti, Impagnatiello progettava il delitto da mesi perché “stressato dalla situazione che stava vivendo”. L’uomo, infatti, intratteneva due relazioni sentimentali, rimpiendo di bugie sia l’una che l’altra donna.
Alla fine non è stato il veleno somministrato dal compagno a uccidere Giulia. L’uomo le ha inferto 37 coltellate, la prima alla gola, la sera del 27 maggio nel loro appartamento di Senago: poche ore prima Giulia aveva incontrato “l’altra donna” del compagno per un chiarimento.
In merito all’utilizzo del veleno, l’indagato aveva cercato di giustificarsi dicendo che gli serviva solo a cacciare i topi dal locale di lusso in cui lavorava. Ma i suoi colleghi hanno fin da subito precisato che i topi al bar non ci sono mai stati.