Dopo l’Inghilterra, anche Secondigliano reclama l’indipendenza. C’è già chi l’ha ribattezzata “Secondiglianexit”. Sembra una semplice provocazione, ma in realtà non lo è, perché proviene da un rappresentante della VII Municipalità di Napoli, Pasquale Esposito, che ha scatenato un vespaio di polemiche dopo la pubblicazione di un post sul suo profilo Facebook.
“Adesso basta! – scrive il politico in un post -. Anche se sostanzialmente è contro il mio approccio culturale, sto studiando da tempo la necessità di avviare una seria e non banale discussione per valutare il percorso (previsto dalla Costituzione italiana e tenendo conto delle sentenze della Corte Costituzionale) per far ritornare Secondigliano Comune a sé”.
Pioggia di commenti e battute, ma Esposito non si è perso d’animo e ha rispedito tutte le accuse al mittente: “E’ sotto gli occhi di tutti che il sistema non funziona: le municipalità, così come sono, sono un fallimento e la Città Metropolitana non si capisce bene cos’è”.
Secondigliano comune a sé? La proposta, a ben vedere, non è tanto lontana dalla realtà. E porterebbe il popoloso quartiere a nord di Napoli – 47mila abitanti – indietro di circa 90 anni. Era infatti il 1926 quando il regime fascista decise di accorpare tanti comuni della periferia al centro. Allora, però, c’era più campagna che cemento. In tanti decenni, soprattutto dal Secondo Dopoguerra, la periferia è cresciuta tra degrado e abbandono ed è diventata sentina di piccole e grandi criminalità.
“Il lato positivo? – Si chiede Esposito – Non so quale sia stato. Forse il sentirsi napoletani? In realtà siamo rimasti secondiglianesi per cultura e geografia, distaccati dal centro città. Ancora oggi diciamo “scendiamo a Napoli, ci mangiamo una pizza a Napoli?”. Il lato negativo è stato, invece, la lenta e disastrosa perdita di identità ed autonomia amministrativa. Con la beffa delle municipalità, unioni di quartieri su decisione dall’alto senza chiederci nemmeno il parere. Avevamo molto verde, poi sono nati dal nulla interi rioni abitati da migliaia di persone rinchiuse in casermoni isolati e privi di servizi, trasformandosi inevitabilmente in terreno fertile per la camorra”.