di Matteo Renzi
Pubblichiamo un’anticipazione del libro «Avanti» di Matteo Renzi in libreria dal 12 luglio
Per Napoli ho una passione travolgente, non ricambiata dall’amministrazione civica del sindaco de Magistris che si autodefinisce “città derenzizzata”. Accolto da manifestazioni di protesta immancabili, in alcuni casi con tanto di sassaiole provenienti da cortei cui partecipano anche esponenti dell’amministrazione, scelgo di tornarci da privato cittadino passando per le esperienze sociali e umane più intense. E l’intelligenza strepitosa di padre Antonio Loffredo mi introduce nel cuore del quartiere Sanità, nelle catacombe che un’esperienza di associazionismo e di cooperazione sociale ha riportato nei circuiti turistici creando decine di posti di lavoro e segnando una delle più belle operazioni di riscatto dal basso che abbia mai visto in tutto il paese. La storia della Sanità di Napoli, il quartiere dove è nato Totò, è una storia tra le più difficili ed emozionanti. Stringendo le mani a quei ragazzi, mi rendo conto che la dimensione più bella della politica è l’umanità, il contatto diretto, lo scambio di sguardi. E penso che Napoli non debba arrendersi, ce la possa fare, ce la debba fare. Anzi penso che, per alcuni aspetti, Napoli sia un esempio di quello che potrebbe succedere in Italia. Del resto, incontrando il capo di Apple, Tim Cook, avevo fatto di tutto per convincerlo ad aprire la Developer Academy dell’azienda di Cupertino proprio insieme alla Federico II nella città partenopea. E quando Tim – in visita a Palazzo Chigi – mi annunciò il suo sì, anche se qualcuno – come Roberto Saviano, che pure stimo molto – storse la bocca, si compiva una svolta strepitosa: Napoli tornava ad attrarre centri di eccellenza mondiale. Il modello Napoli per Apple sarà replicato in altre città di tutto il mondo e dimostra che cosa può fare la qualità della vita coniugata con la qualità della ricerca, se abbracciate da un grande brand globale. Questo non significa dimenticarsi del vero dramma di città come Napoli: la povertà educativa.
Questa avventura è una delle sfide più belle e culturalmente rilevanti dei mille giorni. Ci ho creduto dal primo momento e sono felice che, anche dopo aver lasciato Palazzo Chigi, stia procedendo nel solco che abbiamo tracciato e che segnerà i prossimi cinque anni riguardo alle operazioni di bonifiche ma i prossimi decenni riguardo ai napoletani e alle loro prospettive di sviluppo. Perché insisto così tanto su Napoli? Perché è la capitale del Mezzogiorno e, se Napoli riparte – come i dati del 2016 hanno finalmente iniziato a mostrare sul Pil –, è il paese intero a trarne beneficio. Napoli significa il lavoro su Pompei, con oltre tre milioni di visitatori che tornano a emozionarsi davanti a uno dei siti archeologici più strepitosi a livello mondiale, sito che smette di far notizia per i crolli e incuriosisce di nuovo per la qualità delle mostre e dei restauri. Napoli significa Pozzuoli ed Ercolano, significa la nuova linea metropolitana – tra le più belle al mondo – finanziata dal ministero delle Infrastrutture, significa l’investimento sul Museo di Capodimonte e sul Museo archeologico, significa allargarsi verso la Reggia di Caserta e bonificare la “Terra dei fuochi” su cui il governatore Enzo De Luca ha investito tutta la sua autorevolezza (oltre che i soldi dell’accordo “stato-regione”). E penso che Napoli sia di una bellezza così impressionante che è assurdo stare a lamentarsi. Bisogna lavorare sui singoli progetti, certo. E stringere i denti quando tutto sembra andare storto. Ma anche avere in mente un forte progetto più grande.
Dopo la figuraccia mondiale che ci ha fatto fare l’amministrazione 5 Stelle con le Olimpiadi 2024, per Roma sarà quasi impossibile riprendere in considerazione la candidatura, per la quale il Coni aveva preparato un dossier perfetto. A questo punto, la città italiana che può davvero giocarsi la carta della candidatura alle Olimpiadi è proprio Napoli. E per Napoli sarebbe la svolta, come lo fu per Barcellona nel 1992: percorso peraltro simile, considerando che la Barcellona degli anni ottanta non era come la Barcellona di oggi, e che proprio le Olimpiadi sono state il fattore di svolta.