Sant’Antimo. Storica sentenza a Napoli dove un datore di lavoro di origini bengalesi è stato condannato a otto anni con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al grave sfruttamento lavorativo e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con l’aggravante del reato transnazionale.
“Oltre alla peculiarità della sentenza – afferma l’avvocato Bruno Botti che ha rappresentato i 20 operai stranieri, sfruttati e pagati non più di 250 euro al mese – va ricordato che tutto parte da una sollevazione nel 2013 di gruppo degli operai clandestini di una piccola fabbrica di Sant’Antimo, un fatto o raro sia perché il datore di lavoro, ritirando loro i passaporti e minacciando ritorsioni sui loro familiari in Bangladesh, li teneva sotto scacco sia perché i bengalesi per loro indole sono persone miti poco inclini ad intentare azioni rivendicative”.
Gli imputati Sheik Mohammed Alim, ritenuto il dell’organizzazione dei caporali bengalesi, condannato a 8 anni, insieme a Popy Kathun, Moniruzzam Tipu, Sheik Akbar e Mohammad Aziz, condannati a pene variabili tra i 6 e i 5 anni, avevano di fatto «schiavizzato» quindici connazionali, che per venire in Italia, con la promessa di un buon lavoro ben pagato, avevano sborsato – come riporta Il Mattino – tra i 10 e 15 mila euro. E così 15 bengalesi, insieme a molti altri connazionali, furono in realtà segregati con violenza e ridotti in una condizione di semischiavitù in alcuni capannoni tra Sant’Antimo e Casandrino. I passaporti furono sequestrati da Alim mentre i giovani immigrati venivano pagati circa 300 euro al mese per giornate lavorative di 17-18 ore al giorno, sabato e domenica inclusi, dalle 7.30 alle 14 o alle 19 con le porte chiuse a chiave dall’esterno.