Proprio sopra la galleria abitava la mia più cara amica, Emilia. La mamma ed il papà spesso mi accoglievano a pranzo e, dopo aver mangiato, studiavamo insieme. Un giorno la mamma di Emilia mi disse una frase che mi turbò: “Stiamo per diventare come Scampia, questa sarà la nostra fine”. Sono passati quasi trent’anni da allora.
Tra le tante periferie di Napoli, grazie a Gomorra, Scampia è divenuto un brand da sfruttare in ogni occasione: vale per i concerti come per il maggio dei monumenti. Fare qualcosa a Scampia è di moda. Funziona. Ci hanno portato l’Università oggi e la metropolitana ieri. Mentre nel resto della provincia solo rifiuti. Da Miss Italia a Red Bull ognuno vuole poter dire di aver fatto qualcosa per il quartiere ghetto.
Perché di questo parliamo, Scampia è il ghetto dove sono stati portati i poveri napoletani dopo il terremoto. Lontano dal centro, nel tentativo di salvare il salvabile. Un ghetto alimenta il disagio. Fa crescere i problemi. Napoli è piena di questi quartieri inferno. Oggi però pare esistere solo Scampia: con la complicità delle vele erette a icona del male hanno oscurato tutto il resto. Reso Scampia la periferia simbolo di tutta Europa.
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Sono tutti tanto accecati dal riflettore mediatico acceso su quel quartiere da non rendersi conto che il ghetto nel frattempo ha esteso i suoi tentacoli. Oggi tutta l’area Nord è una enorme periferia abbandonata. Con zone forse molto peggiori della stessa Scampia. Zone dove i politici non fanno più neanche le passerelle. Aveva ragione la mamma di Emilia. Però da noi fa più male. Perché a Scampia hanno creato un ghetto dal nulla. Qui stanno creando un ghetto cancellando la nostra storia e le nostre città.