E’ finito al 41 bis Luigi Moccia, ritenuto uno del sistema criminale radicato alle porte di Napoli e in parte della Capitale. Il provvedimento cautelare è scaturito, in particolar modo, da una frase intercettata dalla Dda ad alcuni affiliati.
Il provvedimento. “Il papa sta a Roma”, la frase ‘incriminata’ sulla quale la Dda non ha dubbi: è riferita a lui e a confermarlo alcune conversazioni con soggetti legati al clan. Da un anno il boss è detenuto a Trapani e da ieri cambia la sua condizione.
Ora per Luigi Moccia c’è il trasferimento al carcere duro. Nel corso degli ultimi mesi, il provvedimento cautelare – come riporta Il Mattino – è stato confermato in tutte le sedi, anche se non ci sono al momento sentenze passate in giudicato sul cosiddetto clan Moccia.
Le indagini. Per gli inquirenti i Moccia avrebbero usato la tecnica del cosiddetto “inabissamento”, puntando alla dissociazione dei capi, con una strategia processuale che viene indicata solo come di facciata. Difeso dai penalisti Libero Mancuso e Saverio Senese, Luigi Moccia contesta la sua estraneità all’accusa di essere il capo della camorra napoletana e cercherà di dimostrare la propria innocenza durante il processo che si terrà il prossimo due gennaio dinanzi alla terza sezione penale. Perplessità e sconcerto da parte del legali circa la decisione del carcere duro nei confronti di Moccia, in una cella di isolamento: “Rimaniamo sorpresi per un provvedimento ritenuto inapplicabile nei confronti di un uomo che in un anno di detenzione ha avuto un comportamento esemplare, come puntualmente dimostrato dalle note di servizio interne al carcere. Siamo sorpresi, allarmati, stupefatti – spiega il difensore – per un provvedimento che colpisce un cittadino, un imputato che ha superato i sessanta anni e che è alle prese con condizioni di salute sempre più precarie”.