La resa allo Stato dell’ultimo padrino della camorra accadde esattamente trentuno anni fa. Erano passati dieci minuti dopo le 18 di un freddo venerdì, quello del 7 dicembre del 1990, vigilia dell’Immacolata, quando finì la latitanza del super boss di Marano Lorenzo Nuvoletta.
Ad ammanettarlo l’allora capitano Luigi Cortellessa, comandante della compagnia dei carabinieri di Giugliano, con una decina di militari che con un’operazione da manuale fecero irruzione nella villa bunker a Poggio Vallesana.
Con i capelli un po’ più argentati delle ultime foto che circolavano prima che prendesse il volo, che sparisse completamente dalla scena, Nuvoletta subito si arrese al capitano Cortellessa, oggi colonnello e comandante nazionale Carabinieri per la Tutela Agroalimentare.
Seduto a tavola, come un patriarca, don Lorenzo Nuvoletta, in fuga da un decennio, stava presiedendo da boss l’ ultimo summit di camorra con altre cinque persone, a cui peraltro stava partecipando anche un consigliere comunale di Marano della Dc.
Calcestruzzo, imprese edili, ricostruzione, droga, armi, opere d’ arte, cavalli da corsa: don Lorenzo era l’unico uomo di rispetto della malavita campana dell’epoca che aveva stretto un’alleanza duratura con Cosa Nostra al punto da allacciare personalmente stretti rapporti con Salvatore Riina e Luciano Leggio.
Aveva un curriculum da colletto bianco e, pur nella latitanza, una storia da capo carismatico.