Esiste un nesso tra casi rari di trombosi e il vaccino AstraZeneca. A dichiararlo a Il Messaggero è il responsabile Vaccini dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco. Allo stesso tempo, però, assicura che il rapporto rischi-benefici resta “sempre a favore del vaccino”.
AstraZeneca, responsabile Ema: “C’è nesso tra trombosi e AstraZeneca”
“E’ sempre più difficile affermare” che non ci sia un “rapporto di causa ed effetto tra la vaccinazione”, spiega Marco Cavaleri, e “casi molto rari di coaguli del sangue insoliti associati a un basso numero di piastrine“. Si tratta di una svolta importante, a cui l’Ema sta arrivando dopo alcuni studi condotti nelle utime settimane: “C’è un’associazione con il vaccino – prosegue Cavaleri -. Cosa causi questa reazione, però, ancora non lo sappiamo”. Infine conclude: “Tra i vaccinati c’è un numero di casi di trombosi cerebrali con carenza piastrinica tra persone giovani superiore a quello che ci aspetteremmo. Questo lo dovremo dire”.
La situazione sarà analizzata già in giornata dai tecnici dell’Agenzia italiana del farmaco e il ministero della Salute per valutare eventuali nuove indicazioni sull’utilizzo del siero Oxford-Astrazeneca nel nostro Paese. Per la decisione finale, l’Ansa fa sapere che si attenderà il pronunciamento dell’Ema, previsto entro giovedì. Tuttavia un’anticipazione arriva dal sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri: “È possibile, per maggiore precauzione, che l’Agenzia europea dei medicinali indichi che per una determinata categoria è meglio non utilizzare il vaccino anti-Covid di AstraZeneca”, ha detto a Radio24, precisando che “questo è successo anche per tanti altri famaci” e che nel caso di AstraZeneca il vaccino è stato utilizzato “in un numero estremamente alto di soggetti, mentre gli eventi trombotici rari segnalati sono pochissimi“.
Cavaleri conferma infatti dovranno essere fatte ulteriori valutazioni sulle “varie fasce d’età”. In particolare si potrebbe escludere il vaccino per le giovani donne, ad esempio, “spesso protagoniste dei casi di trombosi“. Non dimenticando, aggiunge, che “anche le giovani donne finiscono in terapia intensiva per Covid. Dunque servirà un lavoro molto meticoloso”. Al momento gli eventi avversi sono stati accertati soprattutto in under 50, ma Cavaleri fa sapere che “ci sono stati casi anche tra i 50 e i 60 e ci sono anche uomini, circa il 20%. Età media attorno ai 45-47 anni“.