Gino Paoli è un cantautore e musicista. Ha scritto e interpretato brani di vasta popolarità, quali Il cielo in una stanza, La gatta, Che cosa c’è, Senza fine, Sapore di sale. Scopriamo di più su di lui: la vita, le mogli, i figli, il tentativo di suicidio e i problemi con la droga.
Gino Paoli, la vita
Gino Paoli è nato il 23 settembre del 1934 a Monfacolne, provincia di Gorizia (Friuli-Venezia Giulia). Pochi mesi dopo, la sua famiglia si trasferisce a Genova, una città alla quale rimarrà sempre legatissimo. La madre, pianista, gli trasmette la passione per la musica. Gino Paoli inizia a frequentare un gruppo di amici che costituiranno il primo nucleo della ‘scuola genovese’. Tra questi, Luigi Tenco, Fabrizio De André e Giorgio Calabrese. Il primo 45 giri viene pubblicato nel 1959, ma non ottiene successo. Stesso destino sembrava scritto per il brano La Gatta, ma il passaparola fa sì che la canzone arrivi in classifica e susciti l’interesse di Mogol. Quest’ultimo propone a Mina di incidere Il cielo in una stanza, scritta proprio da Gino Paoli. Il successo clamoroso di questa canzone gli darà definitiva affermazione come cantautore.
Le mogli e i figli
La prima moglie di Gino Paoli è stata Anna Fabbri, da cui nel 1964 ha avuto il figlio Giovanni. Nel frattempo, però, esplose lo scandalo per la sua relazione adulterina con Stefania Sandrelli, ai tempi appena 15enne, rimasta incinta della sua secondogenita, Amanda Sandrelli.
Discussa anche la sua storia d’amore con Ornella Vanoni. Paola Penzo è la seconda moglie del cantautore, con cui è sposato dal 1991 e che gli ha dato la gioia di altri due figli: Nicolò (1980) e Tommaso (1992)
Gino Paoli, il tentato suicidio e i problemi con la droga
Al luglio 1963 risale il tentativo di suicidio con un colpo d’arma da fuoco al cuore. Il proiettile si è conficcato nel pericardio, dove è rimasto perché i medici non ne hanno ritenuto opportuna l’estrazione. “Non mi sparai perché ero travolto dai problemi. Anzi, ero all’apice della fama e avevo tutto. Lo feci per noia. E per sfida. (…) Togliersi la vita è l’unico arrogante modo per decidere del proprio destino. Ma la pallottola si conficcò nel pericardio. Ed è ancora là. Fu un segno. Non era la mia ora. Dopo, ho capito che è stato meglio così“, spiegò in un’intervista a L’Espresso
Poi sono iniziati poi i problemi con la droga, (“Agli inizi degli anni ’70, c’ero dentro fino al collo. Ma la droga è una stupidaggine, è come buttare via la tua esistenza. Ne sono entrato ma, poi, ne sono anche uscito: non potevo pensare che la mia autocritica venisse meno“, ha raccontato in un’intervista per il libro I semafori rossi non sono Dio) e un drammatico incidente d’auto a cui è miracolosamente sopravvissuto.