Scambio di tangenti negli uffici del Comune di Giugliano. E’ questa l’ultima rivelazione shock emersa dai documenti relativi all’ultima operazione contro il clan Mallardo. A svelare lo scambio è Giuliano Pirozzi che fornisce, come ormai da anni, ai magistrati dettagli, luoghi, persone coinvolte.
LO SCAMBIO DELLA TANGENTE – La mazzetta in questione si riferisce alla gara per la manutenzione della rete idrica. Pirozzi racconta: “Mi consegnarono nel bagno del Comune, alla presenza di un’altra persona, la somma di 2.500 euro, denaro che dopo circa un paio d’ore consegnai nelle mani di Biagio Micillo. Devo specificare che la somma era dovuta a titolo di estorsione per il clan Mallardo”. Il collaboratore di giustizia spiega che nel febbraio-marzo 2012 il comune svolse una gara per il rifacimento e la manutenzione della rete idrica del rione de gasperi, via starza, che fu vinta da una società legata a persone di Casal di principe. In passato, invece, si legge nell’ordinanza, il comune si serviva sempre della ditta di D’alterio Giuseppe, detto Peppe ’o fontaniere, affidando lavori in somma urgenza. Con questa nuova gara però ’o fontaniere veniva estromesso. Così la cosca, stando a quanto racconta Pirozzi, pensò di chiedere un’estorsione alla ditta vincitrice, la quale “cominciò a versare una quota estorsiva ancor prima di ricevere il pagamento dal comune” dichiara il pentito.
CONTROLLO DELLE ESTORSIONI – Il racconto fornito da Pirozzi ai magistrati continua dicendo che quando il malato consegnò a Micillo i 2500 euro in questione quest’ultimo si scagliò violentemente contro d’alterio, rivendicando il controllo totale delle imposizioni estorsive a Giugliano, e specificando che la prossima tranche estorsiva sarebbe stata stabilita e imposta da lui che avrebbe mandato per la riscossione lo stesso Pirozzi. Insomma, l’ordine era chiaro. Le estorsioni erano di competenza di Micillo e il malato non doveva intromettersi.
FALSE ASSUNZIONI – Nel caso in cui la gara per la manutenzione della rete idrica non fosse vinta dal fontaniere, si legge nell’ordinanza, la ditta che vinceva l’appalto doveva corrispondere 2.500 euro a titolo di stipendio, come una sorta di ristoro per non essersi aggiudicato l’appalto, e in più garantire l’assunzione di due figli. Lo stesso si faceva da tramite per le richieste nei confronti di coloro che dovevano realizzare allacci legali o abusivi alla rete idrica nel territorio. Dunque una rete di contatti, collusioni e racket che stavolta mette sotto i riflettori lo scambio di mazzette in quello che dovrebbe essere il palazzo di vetro.