Don Peppe Diana: chi era, la storia vera del prete ucciso dalla Camorra

Giuseppe Diana, chiamato anche Peppe Diana o Peppino Diana, è stato un prete, insegnante, attivista e scout italiano. E’ stato ucciso dalla Camorra per il suo impegno antimafia.

Il suo impegno civile e religioso contro la camorra ha lasciato un profondo segno nella società campana: la sua morte ha suscitato forti reazioni. Il coraggio e la volontà di combattere la Camorra lo hanno reso un personaggio ancora oggi fortemente ricordato, specialmente nella giornata del 19 marzo, momento in cui venne brutalmente ucciso.

Don Peppe Diana: chi era

Giuseppe Diana nacque a Casal di Principe il 4 luglio del 1958, in provincia di Caserta. Ad Aversa, iniziò i suoi studi prima di proseguire in seminario a Posillipo presso la sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale.

Prima di essere ordinato sacerdote nel 1982, si laureò in Filosofia all’Università Federico II di Napoli e nel 1978 iniziò a far parte dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani, diventandone caporeparto.

Il 19 settembre 1989 divenne il nuovo parroco della parrocchia di San Nicola di Bari a Casal di Principe, ma nel frattempo aveva iniziato a insegnare in un liceo, in un istituto tecnico industriale statale e in un istituto alberghiero.

La lotta alla camorra e l’omicidio

Tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, Don Peppino Diana iniziò la sua battaglia contro la camorra. In quegli anni, il clan dei casalesi era quello di maggiore importanza, che si occupava di gestire gran parte dei traffici illeciti.

Lui stesso aveva più volte manifestato la sua volontà di migliorare la realtà che caratterizzava la sua terra, citando la frase: “Per amore del mio popolo non tacerò”.
Il 19 marzo 1994, nel giorno di San Giuseppe, quindi del suo onomastico, alle 7:20 del mattino, Don Peppino Diana fu ucciso nella sacrestia della sua chiesa, mentre si stava preparando per celebrare la messa. Aveva 36 anni.
Cinque i colpi sparati: due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo. L’omicidio sconvolse la comunità di Casal di Principe ma non solo: un messaggio di denuncia e di cordoglio venne inviato anche da Giovanni Paolo II durante l’Angelus del giorno successivo. Al suo funerale, il 21 marzo, furono oltre 20mila le persone presenti.

Il processo per l’omicidio

Per l’omicidio, venne condannato all’ergastolo il camorrista Nunzio De Falco, il 30 gennaio 2003, come mandante dell’assassinio. In un primo momento, lo stesso De Falco tentò di accusare il clan rivale degli Schiavone come colpevoli dell’omicidio ma Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’omicidio e condannato a 14 anni e successivamente collaboratore di giustizia, ammise il coinvolgimento di De Falco.
Il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti come coautori dell’omicidio.

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