E’ una delle domande che circola con maggiore insistenza in queste ore: cosa succede nei nostri confini con lo scoppio del conflitto in Ucraina. Quali saranno le conseguenze per l’Italia, se entreremo in guerra, se ci saranno delle ripercussioni sull’economia e sulle forniture energetiche. Gli scenari sono tanti e in parte imprevedibili, ma proveremo a fare chiarezza e a capire dove stiamo andando e quali sono le possibili direzioni che prenderà l’Europa.
Guerra in Ucraina, cosa succederà in Italia e in Europa
La prima conseguenza della guerra in Ucraina risale a due giorni fa, quando il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Lugansk nel Donbass. Un passaggio che di fatto ha anticipato l’invasione del paese e l’attacco a Kiev. In quella circostanza la Germania, uno dei principali partner economici di Mosca nell’Unione Europea, ha annunciato lo stop al Nord Stream 2, il principale gasdotto in costruzione che dal mar Baltico dovrebbe portare 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno bypassando l’Ucraina. L’interruzione delle forniture “avrà – secondo l’ex premier russo Medvedev – un incremento del prezzo del gas fino a 2mila euro per mille metri cubi” (più o meno il triplo rispetto a quanto viene pagato oggi)”.
Effetti ci saranno anche per l’Italia, che, in mancanza di centrali nucleari e piattaforme petrolifere, riceve dalla Russia circa il 38 % delle sue forniture di gas e il 28% del petrolio di cui ha bisogno. Il nostro Paese potrebbe dover cedere gas ad altri Paesi Ue in attuazione di un meccanismo di solidarietà e di mutuo soccorso tra i membri dell’Unione. Il costo dell’energia potrebbe triplicare o quadruplicare nei prossimi mesi. Un impatto che non si registrerà soltanto sulle bollette delle famiglie, ma sui costi fissi delle aziende e delle società, alcune delle quali saranno costrette a chiudere o dichiarare fallimento in mancanza di aiuti di Stato che mettano un freno alla spirale inflazionistica in atto. Tradotto: licenziamenti, cassa integrazione, aumento della spesa sociale.
Aiuti da Stati Uniti e Giappone?
Per non fermare la locomotiva europea, in una fase di riespansione economica dopo due anni di crisi, l’Ue fa leva sulle scorte di petrolio e gas che potrebbero arrivare da Stati Uniti e Giappone. Il Paese del Sol Levante ha già manifestato la sua disponibilità ad inviare alcuni carichi di gas naturale liquefatto (gnl) verso l’Europa “in segno di solidarietà” davanti all’esplosione delle tensioni tra Russia e Ucraina. Ad annunciarlo pochi giorni fa il premier giapponese Fumio Kishida. Il soccorso delle democrazie straniere potrà aiutare a calmierare i prezzi nelle prossime settimane, ma i costi di trasporto e di conversione del gas liquido dal Pacifico e dall’Atlantico restano tutt’oggi proibitivi e incapaci di garantire forniture a lungo termine.
La Commissione Europa sta approntando un piano di emergenza per fare fronte a un eventuale blocco delle forniture. Il sistema di scorte e di aiuti dovrebbe reggere un’interruzione improvvisa. Al momento, le preoccupazioni per l’economia italiana sono state manifestate di recente anche dal premier Mario Draghi. “Tutte le sanzioni che impattano indirettamente su mercato energetico impattano maggiormente sul paese che importa più gas. E l’Italia ha solo il gas, non ha il nucleare e il carbone ed è più esposta. Si sta anche studiando come l’Italia possa continuare a essere approvigionata da altre fonti se dovessero venire meno quelle della Russia”.
La crisi energetica: prezzi alle stelle e spread
Se la visione ottimista della Commissione Europea dovesse rivelarsi inattendibile con un precipitare della crisi energetica, potremmo attenderci un aumento esponenziale dei prezzi, non solo di gas e petrolio, ma di riflesso anche su generi di prima necessità e sui beni di consumo. L’aumento dei costi di trasporto e produzione per le aziende avrà infatti un impatto sull’inflazione. Il rischio è di un impoverimento della classe media e di un aumento della disoccupazione per il crollo della domanda.
In quel caso toccherà alla BCE – la Banca Centrale Europea – intervenire con operazioni di mercato aperto per ridurre le conseguenze della crisi, ad esempio innalzando i tassi di interesse per ridurre la liquidità in circolazione. Ma l’incertezza sui mercati finanziari comporterà un notevole aumento dello spread, cioè il differenziale di rendimento dei titoli di Stato rispetto ai bond tedeschi, come già avviene in questi giorni. Significa che il costo del nostro debito pubblico aumenterà e diventerà più difficile per l’Italia finanziare la sua spesa pubblica con un ulteriore ricaduta sulla stabilità dei conti in una fase di ripresa.
L’Italia sarà in guerra?
Altra domanda che circola in queste ore è se l’Italia entrerà in guerra e se scoppierà una fantomatica “terza guerra mondiale”. L’ipotesi è peregrina. L’Ucraina non appartiene infatti alla Nato e l’invasione russa non prevede azioni di assistenza e di mutuo soccorso da parte dell’Alleanza Atlantica. Significa che nel corso del conflitto forze straniere non scenderanno in campo per arginare l’avanzata dei tank russi su Kiev. L’Unione Europea e gli Stati Uniti si limiteranno a rafforzare le linee di difesa dei paesi confinanti già aderenti alla Nato e a imporre pesanti sanzioni economiche e diplomatiche al Cremlino.
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No, però…
L’imprevedibilità è il fattore più problematico di ogni conflitto. Quando si inizia, non si sa mai dove si va a finire. I piani di Putin sono più ampi, poggiano sulla riconquista della sfera di influenza dell’Ex Unione Sovietica e sull’insediamento di un governo fantoccio a Kiev. A temere di più le mire espansionistiche del Cremlino dopo l’Ucraina sono i paesi Baltici (Estonia, Lituania e Lettonia), partner Nato. I tre Stati hanno chiesto già da giorni il pugno duro contro Mosca. Ciò che temono è una condizione di progressivo “accerchiamento” da parte della Russia dopo la conquista dell’Ucraina.
L’avanzata del Cremlino si stringe infatti con un effetto tenaglia intorno alle repubbliche baltiche da Ovest, attraverso l’exlave di Kaliningrad, e da sud attraverso la Bielorussia. Da qui l’invio di truppe Nato e di elicotteri Apache verso Polonia ed Estonia partiti da Grecia e Germania. Le difese aree del Baltico infatti sono sguarnite, vista la mancanza di una vera aviazione, e la Nato teme che nel corso dell’escalation Putin possa intraprendere un’azione lampo per attaccare anche le tre ex repubbliche Sovietiche. In quel caso la Nato sarebbe costretta a intervenire militarmente e le conseguenze sarebbero disastrose, innescando un effetto a catena in Europa.