Sarà allestita nel castello Hotel de La Sonrisa la camera ardente per don Antonio Polese con la supervisione della figlia, Imma Polese, e del genero Matteo Giordano. Il famoso boss delle cerimonie è morto questa mattina all’età di 80 anni.
Storia della Sonrisa. L’hotel sorge a Sant’Antonio Abate, su una collina. Era un vecchio castello che, più di vent’anni fa, Antonio Polese, ex macellaio, ebbe l’intuizione di trasformare in un locale per cerimonie tra cafonal e trash. Ha ospitato personalità come Mario Merola e Gigi D’Alessio. Nel 2012 è diventata anche la location per le scene iniziali del film “Reality” di Matteo Garrone, prima di diventare quella del programma di Real Time.
Che fine farà? Oggi il destino dell’Hotel La Sonrisa – di cui non è presenta alcuna voce su Wikipedia – è nelle mani della figlia Imma e del genero Matteo Giordano Polese. In più un esercito di cuochi, pasticceri e camerieri, capitanati dal maître Ferdinando. «Nel nostro albergo non ospitiamo lord, trattiamo tutti da re» aveva detto don Antonio, che è finito in tv grazie a Raffaele Brunetti, regista del programma.
«Raffaele è di Napoli — racconta Laura Carafoli, vice president content & programming di Discovery Italia — e ci ha portato alcune proposte. Ci siamo innamorati della Sonrisa, di don Antonio e della sua famiglia. Ci piaceva raccontare questa parte di Napoli emozionante». In realtà, ancora prima dell’avvio del programma, più che di emozioni si è parlato di trash. Ma trash o non trash, la Sonrisa è diventato un simbolo e, a prezzi non alti e con ricchi menu, uno dei luoghi scelti per ogni matrimonio più o meno sfarzoso.
Il sequestro e la condanna. Non tutta la storia de La Sonrisa però è una favola da reality show (FOTO). Poco meno di un mese fa, infatti, il Tribunale di Torre Annunziata (Napoli) aveva confiscato al Boss della Cerimonie, all’anagrafe Antonio Tobia Polese, morto il 1 dicembre 2016, il celebre complesso Sonrisa di Sant’Antonio Abate. I giudici avevano anche condannato, nella stessa occasione a un anno di reclusione la moglie e il fratello di Polese, ritenuti responsabili di una lottizzazione abusiva che risalirebbe, secondo gli inquirenti, al periodo 1979-2011.