Cercherò di essere breve e semplice. Mesi, se non anni, a cercare di capire quanto la mobilitazione online possa avere un impatto sulla partecipazione politica e tuttora, forse è un mio limite, devo ancora tirare delle conclusioni solide. Nello stesso tempo, o meglio nel tempo che mi resta, ero e sono orientato a comprendere i processi di formazione delle opinioni in Rete, i loro meccanismi, come avviene la
deliberazione online, quanto un tema possa diventare pubblico ed avere delle ricadute sulle politiche e, più in generale, sulle decisioni dei diversi livelli amministrativi, governo nazionale compreso.
Posso dunque tranquillamente affermare che ormai è dal lontano 2002 che me ne occupo, e in maniera compulsiva e malsana. Democrazia elettronica, partecipazione elettronica, cittadini digitali, diritti di cittadinanza elettronica, netizen etc etc. Tutte formule che mi hanno affascinato e sulle quali perdo ancora le mie nottate a studiarle, compararle, cercarne i limiti e le opportunità. Ma ciò che in queste settimane mi sta togliendo lentamente l’entusiamso per questi temi è la locuzione che, soprattutto in campo giornalistico, viene sempre più spesso usata come misuratore degli umori in Rete, il fantomatico “popolo del web”.
Non è la locuzione in sé che mi pone problemi, e nemmeno l’estensione semantica che essa puó avere. È piuttosto l’uso dissennato che ne fa una certa tipologica giornalistica la quale, giustamente, cerca di fare cronaca del web. Basta davvero fare un giro sui diversi quotidiani, in particolare quelli online, per capire e comprendere cosa intendo dire. Con popolo del web si tende a connotare quella parte della Rete che è più attiva per quanto riguarda alcuni temi politici, economici e sociali. Se ad esempio si crea un gruppo su Facebook intorno ad un detereminato tema politico in agenda, e in poche ore riesce a fare migliaia di contatti esso diventa, per quella categoria giornalistica di cui sopra, popolo del web.
Se su Twitter si crea un TT sull’art.18 dove se ne discute il più delle volte a favore della CGIL, ecco che per magia il popolo del web è a favore della CGIL. Su questi esempi ci sono davvero alcune regole elementari, addirittura linguistiche, che non vengono rispettate. Facebook non è il web, Twitter non è il web, quando una determinata opinione prende il sopravvento nelle discussioni non è l’opinione di tutto il web e così via. Cari amici giornalisti, rispetto il vostro lavoro e i vostri tentativi di ritagliare uno spazio per il vostro quotidiano circa i temi in Rete ma, ormai diventa un appello, cercate di evitare le generalizzazioni su una questione tanto difficile quanto complessa. Vi chiedo di farlo innanzitutto per una crescita culturale collettiva del digitale in Italia, non possiamo far pensare che esista un popolo che ogni giorno si sveglia e prende posizione su un tema politico. Fatelo anche per coloro che da anni si stanno spendendo per la cultura digitale in Italia e che, grazie anche ai vostri scritti, ogni giorno la loro ulcera ne risente.
Fatelo anche per voi stessi in quanto a occhi “competenti” i vostri articoli e i vostri tentativi arzigogolati di raccontare la Rete appaiono per lo più privi di consistenza, con ovvie ricadute sulla opinione che ogni buon lettore attento può avere sulla vostra attivitá professionale. E infine fatelo anche per me che ogni mattina mi devo svegliare e pensare di essere ancora nella metà degli anni ’90 per quanto riguarda la partecipazione democratica in rete. Grazie. Questo post riprende in parte il dibattito aperto da Eleonora Bianchini, che saluto, sul Fatto Quotidiano.
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