Albert Einstein, una delle 15-20 menti della storia dell’umanità, una delle più fantasiose ed ancora incredibilmente attuali, un giorno disse che “Solo due cose sono infinite, l’Universo e la Stupidità umana, ma non sono sicuro della prima”. Volendo infierire sul citazionismo, tanto caro agli Stati Uniti, possiamo passare ad un’altra grande mente, quella di Oscar Wilde e del suo “Meglio tacere e sembrare stupidi che parlare e togliere ogni dubbio” e, se proprio volete scendere di livello, passiamo ad un più popolare “La madre dei cretini è sempre incinta”.
Tre frasi che esprimono perfettamente ciò che è successo all’Olimpico il sabato di pasqua. Due striscioni, uno dei quali diceva “Daniele con noi” riferendosi all’imputato accusato di omicidio di Ciro Esposito, due striscioni di un’infamia unica, di una malignità impareggiabile. Come delle persone possano pensare, scrivere ed esporre quei drappi fa davvero schifo perché perfino nella strada c’è un codice, mai toccare le mamme e i defunti, un codice calpestato e stropicciato sabato perché non solo si è insultata la memoria di un ragazzo morto dopo due mesi di coma ed agonia, ma anche quella della madre, mai nominata prima d’ora.
Antonella Leardi sta diventando un simbolo, ha sfruttato, parola detta tra mille virgolette, la morte del figlio per divulgare un messaggio di pace e amore. Una forza d’animo che in pochi avrebbero trovato, una mamma che ha scritto un libro, quello di cui si parlava negli striscioni, da cui non ricava un euro perché il ricavato delle vendite andranno all’Ospedale Gemelli di Roma e ad una clinica pediatrica di Posillipo. Infamia e ignoranza dunque. Non c’è mai limite al peggio.
Per questi striscioni si è scusato il sindaco di Roma, Ignazio Marino, si sono scusati tanti tifosi che vanno allo stadio spinti dalla passione, non dall’odio, che fortunatamente sono la stragrande maggioranza in uno sport che troppo spesso balza agli onori della cronaca per queste motivazioni e non per il bel gioco
Gianni Mura, uno dei più grandi giornalisti rimasti a questo Paese allo sbando, in un editoriale su Repubblica a dir poco meraviglioso, si pone delle domande: “I dirigenti della Roma, dice un rigo sull’Ansa, dicono che non commentano mai gli striscioni. E fanno male. Cosa pensa il presidente Pallotta, abituato a ben altro clima negli stadi americani. E Garcia? I giocatori? Il dg Baldissoni? Tutti zitti. Eppure l’Olimpico è casa loro. È la Roma che paga gli steward, il servizio d’ordine. È in grado qualcuno della Roma di spiegare come allo stadio entri di tutto, dai peggiori striscioni al materiale esplodente? Queste sono domande tecniche, nel caso li disturbasse l’etica”.
Non c’è limite al peggio, lo abbiamo detto tante volte. Mai era stata toccata la memoria di un defunto. Basti pensare ad un episodio storico, la morte di Martin Luther King. Il grande rivoluzionario americano morì assassinato per gridare i propri diritti. Alla sua morte, col mondo che si ferma, Richard Nixon, uno dei peggiori presidenti che ogni essere umano nella storia abbia mai avuto, istituisce il Martin Luther King Day. Tanti stati del Sud, quelli combattuti dal Premio Nobel, si rifiutarono di accettarla come festività nazionale ma gettavano controproposte, mai avevano pensato di insultare la memoria di un defunto, rappresentante di un popolo.
Ciro Esposito ha rappresentato Napoli nel migliore dei modi. Il suo nome, il suo cognome, così comuni in città, il suo spirito di sacrificio, il suo amore, la sua sofferenza e quel sorriso sempre pronto.
I have a dream.