Lo “strappo” tra gli Amato e i Pagano, la morte di Castello e la sparizione di Ruggiero

Le ragioni dell’omicidio di Andrea Castello e la contestuale sparizione (si tratterebbe di un caso di lupara bianca legato a un vecchio a un analogo caso di qualche anno fa) di Antonio Ruggiero, ritenuto il vero e proprio reggente della cellula scissionista maranese fondata da Mariano Riccio, vanno ricercate nella divisione, nello “strappo” consumatosi all’interno delle famiglie Amato e Pagano. Fuori gioco il giovane “Mariano”, assicurato alla giustizia nei mesi scorsi, i due ragazzi non avevano voluto abbassare le loro pretese. Avevano continuato a difendere con i denti, nonostante i reiterati “inviti” giunti dagli esponenti degli Amato (anche vecchi boss e capi-zona ritornati in auge), la piazza di spaccio di Melito, quella affidatagli proprio da Mariano e che frutterebbe all’incirca 400 mila euro al mese. Nessun passo indietro, nessun timore. Si sentivano al sicuro, protetti. Non avevano intuito che l’aria era cambiata e che gli Amato, da tempo infastiditi dalle scorribande di Riccio e con questi ormai in carcere, non avrebbero tollerato oltre. Per questo, nei giorni precedenti all’assassinio di Castello e all’uscita di scena di Ruggiero, a Marano – città che ha dato i natali alla famiglia di Riccio – erano giunti “segnali”, richieste di incontri per chiarire la faccenda. Il primo a cadere nella trappola – secondi i soliti beni informati – sarebbe stato Ruggiero, partito da Marano alla volta di Melito e mai più ritornato. Poi qualcuno avrebbe convinto Andrea, il suo amico di sempre, ad interessarsi del suo allontanamento. Quel che è successo in seguito è storia nota: Castello è stato sequestrato, interrogato, fatto inginocchiare in una discarica, quella di Casandrino, dove ha poi trovato la morte. E gli altri “scissionisti” di Marano? Spariti per qualche settimana dalla circolazione, continuerebbero ora ad operare in qualche zona di Mugnano, la seconda delle tre città su cui gli uomini di Riccio avevano messo le mani. Confinati lì, perché un eventuale ritorno a Melito o uno spostamento in altri comuni dell’hinterland equivarrebbe a una auto-condanna a morte.

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