Marano, presunta storia con la sorella del camorrista: ucciso e sciolto nell’acido

Risolto un cold case di più di vent’anni fa. Identificati gli autori dell’omicidio del giovane Giulio Giaccio (nella foto grande), 26 anni, che non ebbe altra colpa se non quella di essere sospettato di avere una relazione con la sorella di un camorrista. Forse vittima di un errore di persona.

Marano, sospettato di avere relazione con la sorella del camorrista

I Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli hanno eseguito una misura cautelare in carcere nei confronti di due indagati affiliati al clan Polverino, già detenuti. Si tratta di Salvatore Cammarota, classe 1967, e Carlo Nappi, nato nel 1958.  Entrambi sono gravemente indiziati dell’omicidio e della distruzione del cadavere del giovane Giulio Giaccio. I fatti risalgono al 30 luglio 2000.

E’ un giorno d’estate, la colonnina di mercurio segna circa 30 gradi. Giulio Giaccio è un bravo ragazzo e un onesto lavoratore. Fa il muratore per una ditta del posto ed è estraneo a contesti di criminalità organizzata. Su di lui ricadono pesanti sospetti: credono che stia intrattenendo una relazione con la sorella di uno del clan. Quel giorno i due camorristi lo aspettano fuori casa, nel vicino quartiere partenopeo di Pianura; i killer si fingono poliziotti e lo fanno salire a bordo di una macchina. “Sali e non fare domande”.

Ucciso e sciolto nell’acido

Nell’abitacolo della macchina inizia il processo sommario: il clima si fa teso. Giulio nega ogni coinvolgimento nella relazione, dice che c’è stato uno scambio di persona, non ha alcun rapporto con la sorella di uno dei due. Tutto inutile: non viene creduto. Ucciso con un colpo d’arma da fuoco, il cadavere viene sciolto nell’acido, in perfetto stile mafioso. Un segnale da lanciare a chiunque si azzardi ad avvicinare parenti della cosca, una delle più potenti della Campania, quella dei Polverino, all’epoca retta da Giuseppe, capo clan erede dell’impero criminale dei Nuvoletta di Marano. Il caso resta irrisolto per anni. Poi le indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, e condotte dal Nucleo Investigativo fino al marzo 2022 anche grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, tra cui Roberto Perrone, hanno consentito di appurare l’atroce verità.

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