Maxi inchiesta sulla Terra dei Fuochi, la pista: una regia unica dietro i roghi

l maxi-faldone d’inchiesta sulla Terra dei fuochi aperto dalla procura di Napoli Nord ha un obiettivo preciso: capire se dietro gli sversamenti abusivi di rifiuti da parte della miriade di attività economiche in nero di quell’ampia fascia di Campania a cavallo tra Napoli e Caserta ci sia un’unica regia. Una o più organizzazioni criminali che si occupano di tutte le fasi, dal trasporto fino al rogo. Tutti i 38 Comuni su cui ha competenza la procura guidata da Francesco Greco con sede ad Aversa ricadono nel perimetro della Terra dei fuochi. È l’ufficio inquirente più esposto sul tema e intende aggredire le attività in nero, il grande bubbone da estirpare, l’emergenza numero uno per bloccare i roghi. In campo un pool di magistrati con competenza esclusiva e con una traccia investigativa chiara. Ne erano previsti otto, ma sono sei viste le carenze di organico e lavorano con il supporto del procuratore aggiunto Domenico Airoma.

«Non è facile affrontare il fenomeno che presenta tante sfaccettature», ricorda il procuratore Greco e spiega: «Questi opifici sono diffusi su tutto il territorio, lavorano anche solo per pochi giorni per poi spostarsi altrove e si trovano in veri e propri sottoscala. Si deve intervenire su due versanti: controllo radicale del territorio attraverso la videosorveglianza e poi l’analisi dei rifiuti per risalire al tragitto e ricostruire la filiera». Un lavoro dunque complesso: «C’è necessità di più sinergia tra i vari attori in campo e di più investigatori, non solo dell’esercito, il cui ruolo è comunque importante, ma è decisiva l’attività di intelligence in grado analizzare e sviluppare i dati che ci arrivano dai rifiuti. Purtroppo non esistono informative di forze dell’ordine su questo aspetto e non è facile avere a disposizione personale. Le risorse in campo, umane e economiche, sono insufficienti». Ma si va avanti. «Puntiamo a verificare se esistono i collegamenti tra chi sversa illegalmente, insomma se c’è un’organizzazione che se ne occupa per conto delle aziende in nero. Non sono camorristi, ma sicuramente dietro il fenomeno del falso c’è la camorra», avverte Greco.

La mappa del falso

È il manifatturiero il settore più «sviluppato»: quello illegale in Campania vale il 40 per cento del mercato nazionale del falso. Le aree che fanno registrare la maggiore concentrazione del fenomeno sono quella vesuviana e quella compresa tra Grumo Nevano e l’agro aversano. La prima è la capitale del settore tessile, che oltre agli italiani vede protagonista la comunità del Bangladesh, ben radicata a Palma Campania e San Gennaro Vesuviano, mentre quella cinese è molto attiva a San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano e Terzigno. La seconda fascia di territorio è la regina del calzaturiero. Un universo composto da troppe ditte fantasma. L’attività di contrasto è stata intensificata proprio di recente su iniziativa del prefetto di Napoli Gerarda Pantalone che d’intesa con il commissario di governo anti-roghi, il prefetto Donato Cafagna, ha incrementato il numero dei cosiddetti «Action day», controlli mirati in quelle zone con l’istituzione di una task force composta da polizia municipale, forze dell’ordine, ispettorato del lavoro e Asl. Eppure il risultato a volte è paradossale, come accaduto agli uomini del Corpo forestale: qualche mese fa nel vesuviano sono riusciti a individuare un sottoscala adibito ad azienda tessile, totalmente in nero, con operai asiatici e «padrone» italiano. Attività chiusa e locale sequestrato. Ebbene, dopo un mese la stessa persona ha riaperto nelle stesse condizioni a pochi chilometri di distanza. Cosa rischiano? Denuncia a piede libero, segnalazione all’Agenzia delle entrate sul fronte fiscale e una multa salata. «Tutto viene però inserito nei costi di esercizio da questi soggetti», spiega un investigatore.

Il giro d’affari

Lavorare e smaltire in nero costa molto meno, e una multa o la chiusura si mettono in conto. Ma quanti rifiuti fa questa produzione illecita e quanto si può arrivare a risparmiare? Secondo la stima dei Medici per l’ambiente della Campania il settore manifatturiero in nero produce circa 6mila tonnellate al giorno di rifiuti speciali (6500 tonnellate al giorno è invece la produzione legale di rifiuti solidi urbani) pari a poco più di un terzo delle 20mila tonnellate al giorno di rifiuti speciali legali prodotti. Una cifra solo deduttiva, che si basa sulla media nazionale del 30 per cento di evasione fiscale. Per avere un’idea in soldoni ci si può riferire allo studio commissionato dalla Camera di commercio di Caserta nel 2012 all’Istituto Tagliacarne, secondo cui il 30 per cento dell’economia casertana è illegale, sia criminale sia contraffatta. E solo di export Caserta fattura più di un miliardo e mezzo di euro. «La lotta alla contraffazione deve essere il nuovo obiettivo dell’intero territorio, sia per la Terra dei fuochi sia per tutelare le aziende sane da una concorrenza molto più che sleale», dice il presidente della Camera di commercio Tommaso De Simone.

Per quanto riguarda i costi, c’è da premettere che la spesa per smaltire in maniera legale i rifiuti speciali varia a seconda che si tratti di rifiuto non pericoloso (scarto tessile, stoffe, tomaie, pelle e fibie di scarpe) o pericoloso (colle, vernici, amianto). La cifra oscilla tra il 10 e il 20 per cento del fatturato legale. In un’azienda media arriva tra i 30 e i 40mila euro l’anno per portare in discarica i resti della produzione. Nel circuito illegale invece ci si ferma a meno della metà, circa 12mila euro all’anno. La media è di 25 euro spesi per ogni carico illegale affidato a chi va a buttarlo tra campi e stradine. Se a questo taglio dei costi si aggiungono gli altri «vantaggi» della produzione in nero, allora si capisce il business enorme contro cui si lotta.

Lorenzo Iuliano, Il Mattino 

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