Una città ostaggio dell’instabilità politica. Con lo spettro della camorra che si materializza ad ogni elezione amministrativa. Melito, centrale dello spaccio di droga dopo Scampia, non conosce pace. Nessuna consiliatura negli ultimi dieci anni è durata fino alla sua scadenza naturale.
Si comincia nel 2005, anno di scioglimento del Comune per infiltrazioni camorristiche. Sindaco Giampiero Di Gennaro, eletto, secondo una relazione della DDA, in un clima elettorale “da Chigago degli anni ’30”. Capogruppo del partito di maggioranza in consiglio era un giovane Venanzio Carpentieri. Si torna alle urne dopo più di due anni di commissariamento, nel 2008: vince il navigatissimo ed ex sindaco Antonio Amente, che ha la meglio sulla piddina Marina Mastropasqua, ma l’idillio tra il medico e la città dura appena tre anni. Amente viene sfiduciato da 19 consiglieri, tra cui cinque del suo stesso partito.
Si torna a votare in primavera. Sale per la prima volta l’avvocato Venanzio Carpentieri. Si porta qualche ombra dal passato scioglimento ma ha dalla sua parte il vantaggio dell’anagrafe. Giovane, faccia pulita, voglia di cambiamento. “Hanno deciso forze esterne vicine alla camorra”, denuncia Amente. La vittoria di Carpentieri, però, è un’anatra zoppa. Per colpa del voto disgiunto, la sua maggioranza si regge su un solo voto in consiglio. La stampella cede sotto il peso dei malumori e nel 2013 Carpentieri viene sfiduciato. Decisivo il voto del suo ex fedelissimo, Roberto Guarino.
Nel 2013 si torna così al voto per la terza volta in cinque anni. Si rinnova la sfida Amente Carpentieri. Il nuovo contro il vecchio. L’avvocato del PD vince con una maggioranza bulgara, ma dopo due anni di consiliatura cominciano i primi malumori. Rimpasti di giunta e larghe intese non bastano a placare la fronda dei malpancisti. Il secondo mandato di Venanzio termina ieri con la sfiducia sottoscritta da 13 consiglieri comunali.