Assolta perché il fatto non sussiste. Arriva la seconda assoluzione per Marina Addati, la 33enne napoletana accusata di aver tentato di uccidere il figlio neonato di appena 3 mesi. La donna, difesa dall’avvocato Domenico Pennacchio, torna libera dopo aver trascorso due anni in carcere.
Due processi per la mamma “killer”
Due processi diversi, celebrati davanti a due tribunali diversi (Tribunale di Roma e di Napoli) che avevano tratteggiato il profilo di una mamma killer affetta dalla sindrome di Münchhausen, pronta a uccidere le sue figlie (una di 3 mesi e una di 3 anni) con un cocktail micidiale a base di psicofarmaci. La Addati esce pulita dall’intera vicenda. L’impianto accusatorio della Procura della Repubblica è stato smontato pezzo dopo pezzo grazie alle evidenze probatorie prodotte dalla difesa.
Il primo caso
E’ la fine del 2015. La prima figlia di Marina, Vittoria, ha pochi mesi di vita. Soffre di crisi simili a quelle epilettiche (cianosi, irrigidimento del corpo). La mamma corre all’ospedale Santobono di Napoli per il ricovero. I medici del reparto di neurologia infantile guidati dal primario Salvatore Buono non riescono a formulare una diagnosi precisa, non capiscono di cosa soffra la piccola. I sanitari cominciano a somministrarle alcuni farmaci, tra cui il Luminale (equivalente di un barbiturico) e uno sciroppo, il Depakin, che contiene acido valproico.
La piccola viene dimessa ma poi viene ricoverata poche settimane dopo. Il 28 gennaio del 2016, da una prima analisi ematoclinica, risultano livelli di ammonio e di acido valproico fuori controllo. Le analisi però non sarebbero pervenute tempestivamente ai sanitari che, meno di mezz’ora prima, le raddoppiano il dosaggio di Depakin: la piccola va in iperammoniemia. Si teme il peggio: Vittoria viene trasferita nel reparto di rianimazione. Il personale del Santobono comincia a sospettare della mamma e parte una prima informativa di reato alla Procura, che però non trova alcun riscontro investigativo.
Il secondo caso
E’ il novembre del 2016. Marina Addati è di nuovo all’ospedale Santobono. Questa volta, però, porta tra le braccia la prima figlia: Asia, 3 anni. Ha problemi respiratori. I medici, questa volta, sono prevenuti. Avanzano dubbi sulla condotta della mamma, così sottopongono subito la piccola a un esame tossicologico che però risulta negativo. Nel corso del ricovero, la situazione precipita: la bimba ha crisi di desaturazione, va in arresto cardiocircolatorio e viene ricoverata nel reparto di rianimazione.
Le somministrano un sedativo (l’Ipnovel), il cui principio attivo è una benzodiazepina, analoga a quella usata per gli psicofarmaci, il Midazolam. Anche in questo caso i sanitari non riescono a inquadrare clinicamente la natura delle crisi respiratorie della bimba e, sospettando della mamma, trasferiscono Asia all’ospedale Bambin Gesù di Roma. Nuovo ricovero, nuovo arresto cardiocircolatorio.
Il calvario di Asia arriva nel reparto di pediatria del nosocomio capitolino. I medici la sottopongono a delle analisi, a seguito delle quali risulta positiva alle benzodiazepine. Il personale sanitario di Roma non sa però dei farmaci che le sono stati somministrati a Napoli. Una mancata trasmissione delle notizie in merito al trattamento farmacologico riservato alla bimba al Santobono che farà ricadere nuovi sospetti sulla mamma e innescherà l’input per le indagini della Procura di Napoli e di Roma.
Parte l’informativa alla Procura di Napoli che, anche alla luce del precedente di Vittoria, iscrive nel registro degli indagati Marina Addati ed emette un’ordinanza di custodia cautelare in carcere ai danni della mamma. Anche la Procura di Roma avvia un’inchiesta parallela per il caso di Asia. In entrambe le ipotesi, la 33enne avrebbe tentato di uccidere le figlie.
Marina Addati assolta
La verità viene a galla durante entrambi i dibattimenti. Il processo – sia quello celebrato a Roma che quello celebrato a Napoli – ricostruisce il ricovero delle due bambine e il mix di farmaci a cui sono state sottoposte dal personale medico. In particolare la difesa rimette insieme i tasselli del puzzle, i vuoti di comunicazione e i presunti errori dei sanitari che hanno generato la nube di sospetti addensatasi intorno alla donna.
Smontato anche il movente che secondo la Procura della Repubblica di Roma e di Napoli avrebbe spinto la 33enne ad avvelenare Asia e Vittoria: la sindrome di Münchhausen, un disturbo psicologico che porta il più delle volte una madre a provocare danni fisici al figlio per farlo credere malato così da attirare l’attenzione su di sé. Marina Addati subisce due perizie psichiatriche. Non è affetta da alcun disturbo della personalità ed è capace di intendere e di volere. Il fatto non sussiste. Prima assoluzione a Roma nel luglio del 2019. Seconda assoluzione a Napoli a novembre.
L’incubo della mamma ricoperta di fango dai giornali e dai media e rinchiusa per quasi due anni nel carcere di Benevento finisce con un’assoluzione piena. Il pubblico ministero di Napoli aveva chiesto per lei una condanna alla reclusione di 14 anni.