Napoli, bye bye droga: morti e malati sono il nuovo business della camorra nell’area nord

Il duro colpo all’Alleanza di Secondigliano di questa mattina rappresenta l’ennesimo spunto di riflessione sugli interessi dei clan a Napoli e provincia. Da tempo il narcotraffico non appare più come il principale affare delle cosche nella periferia settentrionale di Napoli. O quantomeno non l’unico. La fine del dominio a colpi di droga in favore di nuovi business. Ma quali possono essere i motivi dello spostamento dell’asse degli interessi criminali? Andiamo con ordine.

Ecco perché i clan si allontanano dal narcotraffico

L’instabilità criminale. La frammentazione camorristica nella periferia settentrionale di Napoli comincia con le faide di Scampia agli inizi degli anni duemila. Da una parte i “senatori” del clan. Dall’altra parte le nuove leve. Nel mezzo sangue e potere. Nel codice mai scritto della camorra i morti ammazzati, affiliati o innocenti, rappresentano l’esistenza della guerra fra due consorterie alla conquista della propria fetta di territorio. Metodi e tempi sono un dettaglio. Quasi una formalità. L’ingente numero di omicidi attira l’attenzione delle forze di polizia. E le piazze di spaccio in parte chiudono, in parte si ridimensionano dopo l’ondata di sequestri, retate e l’intensificazione dei controlli sul territorio.

Negli anni con la dissoluzione del clan guidato da Ciruzzo ‘o milionario la mappa camorristica a nord di Napoli ha visto l’espansione sempre più fitta e ramificata di tanti piccoli clan guidati da giovani. Spesso under 30 che, in assenza di un potere egemone che detti le regole, hanno legittimato il “tutti contro tutti” come forma di possesso del territorio. Nuove regole che sostituiscono le vecchie. A tal punto da “incoronare” capiclan ragazzi sprovvisti di una vera gavetta criminale e pronti a tutto pur di ottenere potere.

Mafia nigeriana e nuovi affari della camorra

Altro elemento determinante per l’addio al narcotraffico è la presenza sempre più massiccia della mafia nigeriana. Stando agli allarmi della Dia di questi anni le cosche nigeriane assumono un ruolo sempre più determinante nella gestione del narcotraffico con l’assenso dei clan campani. Una vera e propria “delega” a tutti gli effetti e che dirotta i clan napoletani verso altri affari così come raccontano gli arresti di questi giorni. Come ad esempio il servizio di trasporti malati che ha visto il suo apice durante il lockdown.  A conferma del fatto che la criminalità organizzata s’insedia in territori dove il disagio economico e sociale e più radicato. Oppure i servizi di onoranze funebri. Appalti pubblici. Alleanze strategiche con la politica e la pubblica amministrazione.

I clan che resistono nel business della droga

Il quadro appena delineato traccia una sintesi oggettiva. Il narcotraffico resta nelle mani dei clan che hanno visto diminuire la propria forza criminale come gli Amato-Pagano, i Mazzarella di San Giovanni a Teduccio, storici rivali dei secondiglianesi, le cosche presenti nel centro storico (Rinaldi, Cardarelli e Sequino su tutti) ed i clan radicati nell’hinterland napoletano come i Pezzella a Cardito ed i Ciccarelli a Caivano. Consorterie che operano in netta controtendenza rispetto all’assetto criminale di altre cosche che, per scelta o per vocazione storica, non gestiscono il narcotraffico e hanno deciso di dirottare i capitali accumulati nei decenni precedenti in attività riservate ai “colletti bianchi”. In primis il clan Mallardo a Giugliano ed il clan Moccia ad Afragola, da sempre dediti agli investimenti in strutture ricettive, ristorazione, edilizia e acquisto di quote societarie.

 

Di Sossio Barra

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