“Napoli criminale? Ci sono stato e ora lo posso dire. E’ tutta invidia!” ecco la lettera di cui tutti parlano

Una lettera bellissima apparsa sull’Huffington Post che parla di Napoli e dei luoghi comuni che la attanagliano, parla dei problemi che questa città ha per la stampa ma che spesso, vivendola, non se ne trovano. Napoli non è certo il paradiso in terra, ha tanti problemi e contraddizioni, ma non è Gomorra, come ce la vogliono far credere.

 

[blockquote style=”1″]Digita su google Napoli pizza (ovvero il primo dei suggerimenti proposti da Google) otterrai 24 milioni e mezzo di risultati. Ora digita Napoli criminalità: 650.000 risultati. Una cifra quaranta volte inferiore. Ma se anche internet certifica questa distanza nei numeri allora perché, nella vox populi, la criminalità è diventata il connotato simbolo della città non solo in Italia ma anche all’estero? No, non c’entra niente Gomorra. Nessun napoletano di buon senso si lamenterebbe di una fiction che fa circolare il nome di Napoli nel mondo quale location di un racconto noir di successo. E comunque all’estero, mi riferisco alla sola Asia, non la conosce nessuno.

 

Piuttosto sono le notiziole di cronaca, quelle che pretendono di raccontare fedelmente la realtà di ogni giorno, a varcare i confini di casa nostra tanto da arrivare persino in estremo oriente: sono queste le gocce cinesi che rinforzano il pregiudizio della “Napoli criminale” (esiste tutto un genere giornalistico specializzato nella diffusione di cliché: le stravaganze giapponesi, il malaffare cinese, le americanate!). Una sparatoria a Scampia, un’esecuzione a Torre del Greco, il passante ferito dal baby-killer. E allora ti capita di chiedere a dei passanti giapponesi poggiati sul parapetto di Castel dell’Ovo e come minimo ti aspetti che se la diano a gambe levate per paura di un taccheggio. E invece non solo ti ascoltano ma cosa ti dicono? “Avevamo prenotato tre giorni a Roma e solo uno a Napoli, intimoriti da quello che si legge sui giornali. Ci siamo pentiti”. Perché è presto detto. Provate a fare un giro per la stazione metropolitana dell’Università a Napoli e poi passate per quella di Bologna a Roma (zona universitaria), dal confronto ne viene fuori tutto un nuovo significato per l’espressione “mind the gap!”: pulizia, calore, colore e fantasia nella prima, sudiciume e puzzo nella seconda.

 

Una ragazza coreana che passeggia per il lungomare sbotta: “Qui a Napoli mi si rivolgono senza secondi fini, a Roma sono socievoli sono solo nella misura in cui sei attraente o un turista pollo da spennare. Spesso a Roma mi fermano per strada signori anziani, mi chiedono da dove vengo, ma è solo una scusa per attaccare bottone, qui a Napoli è diverso, mi si rivolgono perché realmente curiosi, una curiosità umana, non quella falsa che finisce sempre con ‘allora mi dai il contatto di Facebook?'”. Mi dirigo ad Ercolano che in questi giorni è stata sommersa da un’altra valanga incandescente, ma questo magma corrosivo, non viene dal Vesuvio alle spalle ma dalla cronaca nera sparata a raffiche piroclastiche da tutti i media italiani: la reazione di difesa di un gioielliere di Ercolano che uccide i rapinatori. Scendo dalla stazione dei treni e per istinto – un istinto di sopravvivenza, genuino frutto di un condizionamento mediatico – mi guardo immediatamente le spalle. Noto un tizio dall’aria losca che pare seguirmi, tira fuori dal taschino una… rivoltella? No, è un accendino. Solo un falso allarme? Meglio non rischiare, mi fermo e lo lascio passare. Quello si mette spalle al muro e si accende la sua sigaretta. Gli passo davanti col timore di venir strattonato per un braccio e condotto in un sottoscala buio per esser lasciato in mutande. E invece con mio grande stupore quello neppure sembra notarmi. Se ne sta lì a fumare. La cosa inaudita è che riesco perfino ad arrivare a metà strada di via IV Novembre, la via principale che dalla stazione conduce agli Scavi, senza che nessuno abbia provato a gambizzarmi. Mi fermo. I motorini mi sfiorano. Ma chi ha detto che a Napoli non portano il casco? Ce l’hanno tutti. Mi convinco che lo facciano non tanto per mettersi a posto con la legge, visto che a Napoli, si è sempre detto, nessuno si sogna di rispettarla, ma con la coscienza. Non la coscienza comune ovviamente, ma quella del bandito di strada. Il casco garantisce anonimato: sotto quei caschi si può nascondere chiunque.

 

È tutto chiaro ora. Aspetto quasi con trepidazione il momento in cui una mano farabutta si allungherà da un motorino per fottermi il sacco. Faccio avanti e indietro per la via, sporgo perfino un poco dal marciapiede per fargliela più facile. Nulla. C’è perfino un centauro che invece di tagliarmi la strada come succede puntualmente a Roma mi dà la precedenza mentre accenno ad attraversare la strada. Mi convinco: è proprio il segnale che c’è qualcosa di sinistro sotto! Deve essere tutto un complotto per meglio raggirare il turista fesso dandogli false sicurezze. Mi dirigo verso un chiosco. Un tizio sulla cinquantina serve caffè a una coppia di americani. Sorrido amaramente nell’immaginare il ricarico che ci sarà su quei due caffè. Mi avvicino per godermi da vicino il furfante, nell’estemporanea veste di barista, mentre ”taglieggia” la povera coppietta di turisti d’oltreoceano. Due caffè, un euro e quaranta?! Che abbia beccato l’unico onesto di tutta Ercolano! Faccio venti passi e ordino un caffè a un bar all’angolo, proprio di fronte l’entrata degli Scavi. Sono il perfetto turista da spremere, inflessione romanesca e zaino in spalla. Prendo cornetto e caffè. Mi aspetto come minimo quattro euro (il paragone lo faccio con i bar di fronte piazza Venezia a Roma). Il conto? 80 centesimi il caffè un euro il cornetto. In preda al panico di un cliché che non mi riesce in alcun modo di corroborare, anzi mi si sta letteralmente sbriciolando fra le mani, riprendo immediatamente il treno per Napoli. Vado in centro. Entro in un bar di via Toledo, cioè a due passi da piazza del Plebiscito. Chiedo una spremuta di arance. Osservo con diffidenza il cameriere mentre afferra il bicchierino che contiene due dita di succo di arancia – bicchiere che sta lì a raccogliere gli scoli della macchina per le spremute – e mi aspetto che la broda rancida vada a finire nel mio ordine. E invece il tipo che ti fa? Scosta il bicchiere e fa fare alla macchinetta due giri di spremute fresche! Io abituato ai bar di piazza della Repubblica a Roma dove il cameriere ti dà le spalle per coprirti la visuale mentre allunga con acqua la mezza arancia rinsecchita che ti serve al posto di quella fresca che hai ordinato mi ritrovo perso, disorientato. Non so più a quale stereotipo aggrapparmi.

 

A me han sempre detto che i napoletani ti fottono! Sta attento che ti fottono! Sono stato a Napoli e mi è andato tutto bene? Non un taccheggio, un furtarello, uno scippino? Due domande nascono ora spontanee: ma che razza di napoletani ho incontrato? L’altra è: che razza di napoletani ci raccontano i media? Nel tornare a Roma ho capito qual era la domanda giusta da farsi. E già che ci sono mi scuso con i napoletani perché da anni vado raccontando che la linea di costa con lo sky-line più bello del mondo ce l’ha Hong Kong. Finché non ho visto il golfo di Napoli dal sedile del piccolo bus 140, l’autobus che da Posillipo scende a Mergellina e poi dritto fino a piazza Vittoria. Napoli criminale? … è tutta invidia. Altroché.[/blockquote]

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