Sentenza della Corte costituzionale annulla la norma “anti-badanti”
Annullata dalla Corte costituzionale (sentenza 174/2016) la norma del governo Berlusconi con la quale si è tentato di porre un freno a partire dall’anno 2012 a matrimoni di comodo, in particolare a quelle unioni tra lavoratrici extracomunitarie e datore di lavoro italiano in età avanzata. Tanto è vero che la norma (legge 111/20111) era stata denominata legge anti-badanti, in modo efficace ma del tutto improprio.
Unioni con datore di lavoro over 70
La norma diceva che l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive, compresa la gestione separata dei parasubordinati, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiore a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10% in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. La riduzione non si applica nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili.
Ebbene, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Lazio, giudice unico delle pensioni, ha dubitato della legittimità costituzionale di tale normativa e ha sottoposto il caso all’attenzione della Consulta.
Per la Consulta: decurtazioni irrazionali
La legge in discorso stabilirebbe decurtazioni «irrazionali e irragionevoli», «collegate a meri fattori futuri, incerti e sicuramente estranei alle regole proprie della pensione di reversibilità, quali la durata del matrimonio e l’età del coniuge pensionato”, pensiero riconosciuto valido dai giudici costituzionali. Il trattamento di reversibilità erogato al coniuge superstite, oltre alla naturale finalità previdenziale, ha anche un peculiare fondamento solidaristico.
In un ambito che interseca scelte eminentemente personali e libertà intangibili, il legislatore è vincolato a garantire un’adeguata tutela previdenziale e perciò: a) per un verso non deve interferire con le determinazioni dei singoli che, anche in età avanzata, ricercano una piena realizzazione della propria sfera affettiva; b) per altro verso è chiamato a realizzare un equilibrato contemperamento per garantire l’assetto del sistema previdenziale.
La misura restrittiva risiede nella presunzione che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare le ragioni dell’erario, quando non vi siano figli minori, studenti o inabili.
L’età del coniuge
Si tratta di una presunzione assoluta di frode alla legge, che preclude ogni prova contraria. In sostanza parte dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo.
Nella relazione che accompagna il disegno di legge si stigmatizzava come “malcostume” l’attribuzione delle pensioni di reversibilità «a persone che non ne avrebbero, sul piano morale, diritto» e si poneva in risalto l’obiettivo di arginare il fenomeno dei matrimoni “di comodo”.
Nell’attribuire rilievo all’età del coniuge titolare di trattamento pensionistico diretto al momento del matrimonio e alla differenza di età tra i coniugi, la legge (ora cassata) introduce una regolamentazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità. Una tale irragionevolezza diviene ancora più marcata, se si tiene conto dell’ormai riscontrato allungamento dell’aspettativa di vita.
La disposizione opera a danno del solo coniuge superstite più giovane e si applica esclusivamente nell’ipotesi di una considerevole differenza di età tra i coniugi. Si conferisce, in tal modo, rilievo a differenze di età anagrafiche che sono estranee all’essenza e ai fini del vincolo coniugale, con peculiare riguardo all’età avanzata del contraente e alla durata del matrimonio.
fonte: Il Mattino