Patente di immunità per il Coronavirus: cos’è e come funziona? Una volta guariti, ci si può riammalare?

Si parla molto in queste ore di patente di immunità, ma cos’è? Da quando è scoppiata l’emergenza Coronavirus in Italia, c’è il sospetto che il numero reale di persone contagiate fosse molto più alto del totale di casi positivi effettivamente confermati. Un problema che si era intuito soprattutto a causa della presenza di pazienti asintomatici. Casi riscontrati già in Cina ma che è diventato più urgente con la caccia al “paziente 0”, mai conclusa, e con l’esplosione dei contagi in Lombardia.

Con i test sierologici di cui si parla molto in queste ore sarà possibile non soltanto verificare se una persona è stata positiva al Covid in passato, ma anche valutare se e come ha sviluppato l’immunità. Questo consentirà anche di rispondere a un’altra domanda: una volta guariti, ci si può riammalare?

Patente di immunità: cos’è?

Il test italiano che è allo studio serve a rilevare chi, dopo aver contratto il virus ed essere considerato guarito perché i due tamponi sono negativi, ha sviluppato quegli anticorpi che gli consentiranno di non ammalarsi di nuovo, in pratica certifica la cosiddetta patente di immunità. Non basta però essere immuni, bisogna anche capire per quanto tempo gli anticorpi ci proteggeranno dal virus. Ci sono infatti virus, per esempio l’Hiv, verso cui l’organismo sviluppa anticorpi utili a fini diagnostici, ma che non forniscono immunità. In base all’esperienza con altri coronavirus, ci si aspetta che le persone guarite da Covid-19 siano protette per almeno un anno o due. Questo però si capirà solo facendo altri test a cadenza fissa. Anche in Germania hanno deciso di fare così: lì servono tre test prima di assegnare il “passaporto di immunità”.

Come funzionano i test sierologici

L’esame è un normale prelievo ematico. I pochi microlitri di sangue vengono inseriti in un macchinario apposito in grado di metterli a contatto con la proteina sintetica costruita nei laboratori DiaSorin utilizzando un pezzo di Sars-Cov-2 (nome del virus). Il kit automatizzato verifica il legame fra la proteina e l’anticorpo neutralizzante (quello che impedisce alla particella virale di replicarsi nella cellula umana) e lo evidenzia attraverso un segnale luminoso. Il prototipo è stato testato nel laboratorio di virologia del San Matteo di Pavia utilizzando campioni di sangue (anonimi) di 150 pazienti ricoverati nelle varie fasi della malattia: terapia intensiva, malattie infettive, dimessi e guariti. La sperimentazione in vitro ha consentito di individuare la quantità di anticorpi prodotti dall’organismo, e soprattutto quelli che lo proteggeranno in futuro: i neutralizzanti.

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Quanto dura l’immunità?

Al momento non è dato saperlo. Si capirà ripetendo i test a distanza di mesi o anni. A differenza dei tamponi, che misurano la presenza del virus nelle secrezioni, il test sierologico analizza il sangue. Potrebbero bastare anche le gocce di sangue su un dito, nei test rapidi, altrimenti servirà fare un prelievo. Non sono test diagnostici, nel senso che non servono a rilevare la presenza del Covid nel sangue di un paziente in un determinato momento. Servono piuttosto servono a ricreare “la storia” del paziente per capire se in passato è entrato in contatto con il Coronavirus oppure no.

Al momento sono in fase di studio e di sperimentazione in varie regioni. In alcuni casi sono stati fatti i primi test sul personale sanitario. A breve si passerà invece a sperimentarlo su altri gruppi a minor rischio rispetto a medici ed infermieri. Questo consentirà di valutare la vera efficacia dei test e il loro potenziale.

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