Una pioggia di ricorsi rischia di travolgere INPS e Ministero del Lavoro. Un esercito di circa 170mila ex percettori del reddito di cittadinanza potrebbero fare causa ai due enti per recuperare diverse mensilità non corrisposte prima della data fatidica del dicembre 2023 che ha messo per sempre fine alla stagione del RdC. A costituire un precedente significativo è l’ultima ordinanza pronunciata lo scorso 12 gennaio dal Tribunale di Napoli che riconosce a una cinquantenne disoccupata di Marano (Napoli) ben cinque retribuzioni arretrate che non erano state erogate per colpa di un cortocircuito legislativo su cui ancora non è stata fatta chiarezza.
Proroga RdC negata, Inps e Ministero condannati al pagamento degli arretrati
Facciamo un passo indietro. Con la legge di bilancio del 2022, l’allora neonato Governo Meloni decide di azzerare il reddito di cittadinanza e di sostituirlo con l’assegno di inclusione. Quest’ultimo spetterà, però, soltanto alla categoria dei “non occupabili” (persone con minori o disabili in famiglia oppure over 60). Tutti gli altri vengono giudicati “occupabili” e dal 2024 non avranno diritto a nessun sussidio ma solo a un sostegno economico per la durata di 12 mesi a condizione di seguire corsi di formazione banditi dalla propria regione (Supporto per la Formazione e il Lavoro).
In questa categoria rientra anche la 50enne di Marano, che può però accedere alla proroga del reddito di cittadinanza fino al dicembre 2023 se ottiene la presa in carico ai servizi sociali mediante l’iscrizione alla piattaforma GePI (Piattaforma per la Gestione dei Patti per l’inclusione sociale). Nonostante però la donna solleciti il Ministero ad inviare i suoi dati ai servizi del Comune, non risulta iscritta alla piattaforma. E così a fine luglio le arriva l’sms che le annuncia lo stop al RdC.
Il giudizio e l’ordinanza del giudice del lavoro
Per la 50enne, privata di ogni forma di sostegno economico, inizia il momento più difficile. Si rivolge ai suoi avvocati Lelio Mancino e Alfonso Savino. Si segue la strada del ricorso dopo un’infruttuosa diffida presentata al comune di Marano, al Ministero e all’Inps. Davanti al giudice del lavoro, inizia il rimpallo di responsabilità. Chi doveva provvedere a iscrivere la donna “occupabile” alla piattaforma GePI? Chiamati in causa, il Ministero del Lavoro fa spallucce; l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, invece, scarica la colpa sulla stessa 50enne che avrebbe dovuto attivare il “preliminare procedimento amministrativo”.
Alla fine, il 12 gennaio scorso, il giudice rimette insieme i tasselli del guazzabuglio burocratico che ha negato alla 50enne il diritto a cinque mensilità del vecchio sussidio e dà ragione alla donna, condannando con un’ordinanza cautelare l’INPS al pagamento retroattivo del reddito maturato dalla data di sospensione (luglio) fino al mese di dicembre 2023 e il Ministero a iscrivere “l’occupabile” alla piattaforma GePI. Un provvedimento, quello del 12 gennaio, che rischia di creare un precedente giudiziario, visto che in una situazione analoga si trovano circa 170mila ex percettori a cui è stata negata la proroga del RdC per la mancata iscrizione alla piattaforma. Un nutrito gruppo di “esodati” che potrebbe costringere il Ministero e l’INPS ad allargare i cordoni della borsa per riparare a un danno da milioni e milioni di euro.