Antonio Santonicola, giuglianese del 92, era stato condannato a 10 anni di reclusione dal Tribunale di Parma quale membro della banda del buco che commise una rapina milionaria a Parma. Diversi i reati contestati: associazione per delinquere finalizzata alle rapine; rapina pluriaggravata consumata; tentata rapina; crollo di costruzioni o altri disastri dolosi, danneggiamento aggravato, lesioni ed altro.
Rapina milionaria a Parma, scarcerazione eccellente per il giuglianese della banda del buco
Il Magistrato di Sorveglianza di Napoli, accogliendo la richiesta dell’avvocato Luigi Poziello, gli ha concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali, consentendo quindi al giovane di espiare la condanna fino al 2027 svolgendo attività lavorativa.
Santonicola Antonio aveva già usufruito degli arresti domiciliari durante tutta la durata del processo, per poi vedersi rinchiudere di nuovo in carcere a Poggioreale a causa dell’ostatività del reato di rapina. Aveva partecipato sia al progetto presso il Teatro San Carlo che all’articolo 21 lavorando esternamente al carcere, circostanze queste ultime che, insieme alla buona condotta tenuta nei 5 anni e mezzo tra detenzione in carcere ed arresti domiciliari, hanno portato il magistrato a concedere l’affidamento in prova ai servizi sociali.
Il fatto
Hanno scavato un grosso tunnel lungo ben undici metri all’interno del sistema fognario del centro storico di Parma per entrare e rapinare la banca Bper di via Cavour, entrando direttamente nel caveau. I rapinatori della banda del buco stavano per colpire ancora, dopo lo spettacolare colpo alla filiale della Banca Monte Parma in via Venezia del 31 ottobre 2017 ma sono stati fermati dai carabinieri di Parma che, in sinergia con la Procura, hanno portato avanti le indagini a partire dalla rapina al caveau di ottobre, fino ad arrivare all’emissione delle ordinanza di custodia cautelare e ai dieci arresti avvenuti il 22 maggio: sei fermi sono avvenuti a Parma, uno a Reggio Emilia, due a Giuliano e uno a Bellaria. Un incidente di percorso negli scavi, il cedimento del manto stradale in borgo Mazza il 17 marzo, ha reso concreto il pericolo di fuga: a quel punto gli inquirenti hanno deciso di agire.
Le operazioni di scavo erano pensate nei minimi dettagli: il direttore dei lavori comunicava telefonicamente, usando telefoni che avrebbero dovuto essere sicuri per la banda, con gi ‘operai’ che stavano scavando: in particolare li avvertita se i rumori degli scavi si sentissero all’esterno mentre l’attenzione per il lavoro era maniacale e tutta volta a nascondere gli attrezzi utilizzati che, per esempio, venivano riposti in una struttura composta da assi di legno, creata con un soppalco all’interno del tunnel. Ma qualcosa è andato storto: a causa dello scavo il 17 marzo si verifica un cedimento strutturale con crollo del manto stradale in Borgo Mazza, di cui i banditi non si accorgono. In quel momento infatti avevano fatto ritorno nei paesi di origine in Campania. A quel punto gli inquirenti, che stavano tenendo d’occhio la banda da tempo, hanno deciso di agire: l’incidente di percorso ha reso concreto il rischio di fuga.