Resit, finalmente le prime condanne: 20 anni a Bidognetti

Venti anni di carcere per avvelenamento delle acque e disastro ambientale aggravato: è la condanna che il Gup Claudia Piciotti ha emesso a danno del boss dei Casalesi, Francesco Bidognetti, per aver partecipato alle gestione ultratrentennale della discarica Resit di Giugliano e l’avvelenamento della falda acquifera. L’esito, con rito abbreviato, è arrivato al termine di un giudizio lungo quattro anni. Il processo a carico di Cipriano Chianese intanto è ancora alla fase iniziale perché non è stato chiesto il rito abbreviato

Imputato insieme a Bidognetti era anche Mimmo Pinto, ex parlamentare del Partito Radicale, che è stato assolto dall’accusa di aver contribuito all’avvelenamento della falda (nei suoi confronti è stata anche esclusa la aggravante dell’aver agito per favorire il clan dei Casalesi) ma condannato a sei anni di reclusione per disastro ambientale e falso. Dichiarati prescritti gli altri reati di cui era imputato, mentre il Gup ha rimesso al giudice civile il risarcimento del danno e ha rigettato la richiesta del sequestro dei beni intestati a Pinto avanzata dall’Avvocatura Generale dello Stato.
Il pm Alessandro Milita aveva chiesto rispettivamente 30 e 12 anni di reclusione per Bidognetti e Punto; sei anni era la richiesta per il terzo imputato che aveva scelto il giudizio abbreviato, Giuseppe Valente, ex presidente del consorzio Impregeco, nei cui confronti sono stati dichiarati prescritti tutti i reati di cui era accusato.

Secondo l’accusa, la falda è stata avvelenata a partire dagli anni Settanta con continui ed illeciti sversamenti di sostanze tossiche organizzati dal gruppo camorristico casalese con la complicità dell’avvocato Cipriano Chianese, titolare della discarica Resit. Nel 2003 la discarica, per disposizione del Commissario per l’emergenza dei rifiuti, fu affidata alla gestione del Consorzio Napoli 3 presieduto da Mimmo Pinto con il compito di sversare RSU e di stoccare, prima provvisoriamente e poi definitivamente, le balle di CDR che si andavano via via accumulando in seguito alla disposizione commissariale che, in deroga del contratto stipulato con Impregilo, consentiva lo stoccaggio delle ecoballe al fine dell’utilizzo per il recupero energetico. Secondo l’accusa, la designazione di Pinto era strumentale alla gestione camorristica della discarica ed era stata favorita dall’ex coordinatore campano del Pdl Nicola Cosentino, che avrebbe fatto pressioni sul Consorzio dei Comuni al fine di ottenere la nomina dello stesso Pinto. Sulla base di questa premessa il pm aveva sostenuto che Pinto si fosse inserito consapevolmente nella gestione illecita della discarica, contribuendo e aggravando l’avvelenamento della falda acquifera. Per gli altri imputati che non hanno scelto il giudizio abbreviato il processo è ancora in corso davanti alla Corte d’assise.

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