Aspettavamo le vacanze di Natale per svegliarci più tardi la mattina o andare in giro con i nostri genitori e vedere le strade illuminate e i negozi addobbati. Negli anni 80′, quando partiva lo spot sulle TV generaliste di quel noto panettone nordico era già Natale. Ora in radio e in televisione nelle prime parole delle réclame si ascolta “… Sarà un Natale diverso…”
La pandemia ci ha strappato anche la felicità nostalgica del Natale e in questo 2020, ha “rubato” preziose ore di lezione ai nostri piccoli e ai giovanissimi.
È notizia di queste ore. Le scuole del nostro comprensorio apriranno “l’anno prossimo”. Non ci saranno recite, saluti di classe e le aule non sono state addobbate con luci e palline.
Ma forse questo è il male minore.
La maestra Angela, quando sbagliavamo un esercizio di matematica o non eravamo ordinati, lanciava, tipo boomerang, il quadernone dall’altro lato della classe. “Non va bene così” diceva. In realtà era buona. Ne ricordo ancora il profumo. Mi incantavo a sentirla cantare le canzoncine, di stagione in stagione.
Al tempo se ne parlava come di una maestra severa. Ora, a distanza di trent’anni, ne ho un ricordo autorevole e amorevole. Ad ogni difficoltà, se piangevi, ci lasciava piangere e ci diceva:“Quando hai finito continuiamo a lavorare…”. Non proteggeva nessuno di noi. Ci preparava a quello che ci aspettava fuori dalla classe. Un mondo competitivo, talvolta cattivo. Cinico.
Passavo dalla bambagia di casa mia al banco di scuola, che la maestra Angela aveva trasformato nel luogo dove affrontare le operazioni di matematica e vaccinarmi dalle difficoltà e le piccole paure. Per un periodo andare a scuola era diventata una croce. Una botta in fronte di cui non potevo fare a meno.
Ma quando finirono le elementari, la primaria per intenderci, mi trovai in un’altra città, ad affrontare lo scoglio delle scuole medie. La maestra Angela non c’era. Ma i suoi insegnamenti si, oltre le tabelline e i problemi aritmetici.
Fu dura, durissima. Dopo un po’, mi girai intorno e tra il bullismo spietato e l’adolescenza che incombeva invadente, trovai il professore di tecnica Martorelli. Un uomo perbene. Nelle lezioni ci parlava del territorio in cui vivevamo e delle nostre ricchezze campane. La terra, i prodotti, come si edificava una casa e come si producevano la mozzarella e il vino. L’avrei ascoltato per ore. Parole lasciate lì, cristallizzate per sempre.
Un piccolo scorcio di passato per dire che la scuola non può, non deve e non è solo il luogo dove si incamerano nozioni e si riceve una congrua valutazione.
La scuola è il luogo delle scelte, dalla maestra che, seppur severa, ti ispira più fiducia, al professore che ti possa indicare la strada o darti un consiglio, fino ad arrivare al compagno di banco che ti salva le giornate, con una parola o un sorriso.
La didattica a distanza non è la scuola. Il luogo delle scelte non può essere chiuso in un pc o in un tablet, e correre sulle “corde instabili” di una connessione. Per me, piccolo alunno tra gli anni 80′ e 90′, la Dad sarebbe stata un’esperienza drammatica. La scuola, l’aula, era l’unico luogo in cui potevo lanciarmi verso la vita in maniera autonoma e libera. Libero di sbagliare, di scegliere e di rialzare dal fondo della classe il quaderno a quadretti lanciato dalla maestra. Per fare meglio.
La pandemia ci ha tolto tanto, troppo.
I nostri cari. La nostra libertà. Ha fatto chiudere aziende e messo a nudo tutte le falle di un impreparato sistema sanitario. Per i più piccoli e per i giovanissimi, questo pezzo di vita senza scuola è un’altra drammatica pagina. Sullo scenario di un inquietante balletto di responsabilità, prima tra ministero e regione, e poi tra regione e comuni.
I sindaci fanno peggio di De Luca e chiudono le scuole, ma da noi nessuno va in classe con i mezzi pubblici ed allora perché costringiamo i nostri figli a tale supplizio? Molti di questi ragazzini e bambini non ci verranno a confessare quanto è mancata loro la scuola in questi mesi.
Nell’area nord l’appuntamento è per il 2021.
Dove? In classe. Si spera.