La morte del capo dei capi di Cosa Nostra Totò Riina, deceduto poco prima delle 4 di questa mattina all’età di 87 anni, ha fatto rapidamente il giro del paese e del mondo. Il nome del corleonese che sfidò lo Stato a colpi di tritolo, è ancora altisonante nel nostro paese e la sua morte chiude una stagione del quale ancora oggi non si conosce tutto; un periodo della storia d’Italia fatta di angoli bui e segreti mai confessati che il superboss porta con sé nella tomba.
Un’altra vicenda che non tutti sanno riguarda i rapporti che Totò Riina ebbe con la camorra, in particolare con i Nuvoletta di Marano. A rivelarlo è un pentito degli Orlando, il gruppo che fino al 2000 fu il braccio armato dei Nuvoletta, tale Roberto Perrone. Il pentito ha rivelato che Antonio Orlando era affiliato a Cosa Nostra, mentre il fratello Raffaele non poteva esserlo perché aveva una denuncia per violenza carnale, e il codice mafioso non prevedeva l’affiliazione in questi casi. Antonio Orlando faceva a sua volta parte del clan Nuvoletta.
Perrone ha anche rivelato di un incontro, avvenuto in una campagna di proprietà dei Lubrano tra i Corleonesi di Totò Riina ed esponenti non solo dei Nuvoletta, ma anche di alcuni clan alleati, come i Gionta di Torre Annunziata e i Mallardo di Giugliano. Gli incontri, stando alle dichiarazioni di Perrone, avvenivano negli anni ottanta – novanta, a Pignataro Maggiore, nel casertano. Un altro incontro è rivelato invece dallo scrittore Giorgio Mottola: il capo dei capi avrebbe incontrato anche Raffaele Cutolo, proprio a Poggio Vallesana, roccaforte dei Nuvoletta, anno domini 1978, due giorni dopo la sua evasione dal manicomio criminale di Aversa.
Eppure i rapporti tra Cutolo e i Nuvoletta si incrinarono presto. Cutolo rifiutò di affiliarsi alla mafia siciliana. Celebre, a fine anni settanta, fu un episodio raccontato di recente dallo stesso Giorgio Mottola in “Camorra Nostra”. Cutolo di diventare “picciotto” siciliano non ha nessuna intenzione e Riina gli punta una pistola alla testa. Cala il gelo in sala. Cutolo non si muove, non fa una piega. Fissa negli occhi Riina e gli dice: “O spari o ti piscio sulla pistola”. Il capo dei capi si ritrae, non ammaina presto la bandiera dell’orgoglio. E qui arriva l’impensabile. “Cutolo – scrive Mottola -, però, aveva solo iniziato la sua sceneggiata. Si alzò e, piantandosi di fronte a Riina, aprì la patta e gli pisciò la scarpa”. Avrebbe detto: “Tien e scarp sporche, mo’ te lav” (hai le scarpe sporche, ora le pulisco).
La distanza tra la Nuova Camorra Organizzata e le vecchie cosche napoletane sfociò poi una faida di camorra che seminò centinaia di morti. A vincere fu l’alleanza dei clan storici uniti sotto l’egida della Nuova Famiglia e con l’appoggio della mafia corleonese di Totò Riina. Totò Riina, il boss dei Corleonesi, organizzò e mise a segno cinque omicidi a Marano. Le vittime appartenevano al clan Bardellino di Casal di Principe: dopo averli uccisi, il sanguinario boss siciliano fece sciogliere i loro corpi nell’acido (esecuzione materialmente eseguita da Giovanni Brusca. I morti furono Vittorio e Luigi Vastarella, Gennaro Salvi, Gaetano Di Costanzo e Antonio Mauriello). Nel 2008 il capo dei capi venne condannato all’ergastolo in quanto mandante della strage di camorra in cui, il 19 settembre 1984, vennero uccisi cinque affiliati della cosca casalese, colpevoli, secondo Cosa Nostra, di aver ucciso il 10 giugno prima il “picciotto” Ciro Nuvoletta.