E’ polemica in Umbria per la decisione della giunta regionale di abrogare la delibera che consentiva di praticare l’aborto farmacologico in day hospital. Nella regione, con questa decisione della giunta di centrodestra, non sarà più possibile prendere la pillola abortiva in day hospital, ma solo con un ricovero di tre giorni in ospedale. Questo ha scatenato uno scontro politico con l’opposizione.
Aborto in Umbria
La Ru486 (Il nome del farmaco è Mifegyne) è arrivata in Italia nel 2009 dopo via libera alla commercializzazione in Italia da parte dell’Aifa (Agenzia italiana per il farmaco). È un medicinale che fornisce un’opzione non chirurgica per l’interruzione della gravidanza nel pieno rispetto della legge 194. In passato la giunta guidata da Catiuscia Marini garantiva la possibilità di ricorrere a alla Ru486 in day hospital, cosa che però Tesei ha bocciato, preferendo un ricovero prolungato. Una situazione che potrebbe spingere molte donne, a rinunciare in questo momento anche per paura di un contagio. E che fra l’altro va contro la richiesta della Società italiana di ginecologia e ostetricia che aveva chiesto di favorire l’aborto farmacologico per tutelare le donne ed evitare di congestionare le strutture sanitarie in tempi di coronavirus.
L’Italia rimane tutt’ora tra gli Stati europei dove l’aborto farmacologico è la strada meno praticata: la percentuale è ferma al 17,8% contro, ad esempio, il 66 per cento in Francia.
La polemica politica
La decisione di Tesei ha dato immediatamente il via a una bagarre fra centro destra e opposizione. La scelta di imporre il ricovero in ospedale ha ricevuto il plauso della Lega. A intervenire il senatore del Carroccio, Simone Pillon. “Da ora in poi – ha detto – gli interventi dovranno essere fatti in regime di ricovero ospedaliero, evitando che la donna sia di fatto lasciata completamente sola anche davanti a eventuali rischi”.
Critica invece l’opposizione che attacca Tesei e che la considera responsabile di una decisione che riporta indietro le lancette della storia ai tempi in cui venivano negati i diritti delle donne. Lo sostengono in una nota i consiglieri regionali Tommaso Bori. Simona Meloni, Fabio Paparelli, Donatella Porzi e Michele Bettarelli (Pd), Thomas De Luca (M5S) e Vincenzo Bianconi (Misto). E’ un atto grave, spiegano, che renderà “ancor più difficile la vita delle donne e la loro autodeterminazione”.